Mariasilvia Spolato è stata la prima lesbica dichiarata in Italia. Ha fondato il primo movimento omosessuale di liberazione nel Paese, dialogando con i principali movimenti europei e americani. Il suo impegno ha permesso alla comunità LGBTQ italiana di acquisire una visibilità, una voce: un passo fondamentale nella lotta per i diritti civili.
Ha pagato cara la sua sete di libertà e riconoscimento. Ricordare Mariasilvia Spolato è ringraziare chi, mettendoci la faccia, ha sacrificato tutto perché tanti potessero esprimere liberamente la propria identità. Ma è anche conoscere il passato per orientare il cammino futuro. Perché in Italia, oggi, il lavoro culturale e la lotta per i diritti dei membri della comunità LGBTQ non è affatto conclusa.
Il diritto di dire: «Io sono lesbica»
Chi mi conosce risponderà: «Sì, lo so». Chi non mi conosce ribatterà: «Ah sì?». O, giustamente: «E allora?». Forse qualcuno storcerà il naso o sarà in imbarazzo. Sicuramente qualche fenomeno scriverà “Che schifo! Fatti curare!”; magari un simpaticone azzarderà l’evergreen “Dovresti provare il mio *****!”. Ma, per cento insulti, so che ci sarebbero mille espressioni di solidarietà, mille racconti condivisi. Non intendo nascondermi dietro a un dito: in Italia l’omofobia è tenace. Dire «Io sono lesbica» può costare un’amicizia, una famiglia, un lavoro. Qualche volta addirittura di più. È difficile, ma potrebbe essere impossibile. Lo sarebbe senza una comunità LGBTQ numerosa e visibile, senza il supporto di sostenitori e simpatizzanti. Io posso dichiararmi lesbica grazie all’impegno di chi, dagli anni ’70 a oggi, ha guadagnato anche per me questo diritto. Per questo voglio ricordare Mariasilvia Spolato.
La fotografia di una vita
Chi era Mariasilvia Spolato? La risposta è racchiusa nella fotografia – visibile a questo link – che ha cambiato la sua vita. È l’8 marzo 1972, il primo 8 marzo italiano. Mariasilvia, in Piazza Navona, sfila portando orgogliosa, lei sola, un grande cartello con la scritta “LIBERAZIONE OMOSESSUALE”. È il primo atto di visibilità per una donna lesbica in Italia e a Mariasilvia costerà molto caro. Lei probabilmente lo sa, ma non se ne preoccupa. La donna nella fotografia rispecchia perfettamente la descrizione dell’amica, storica femminista del Collettivo di Via Pompeo Magno, Edda Billi, che ricorda Mariasilvia così:
La sua caratteristica principale era il suo essere kamikaze in questo suo uscire come lesbica, era per lei un’esigenza fortissima.
Quell’attivismo “kamikaze” fu decisivo per dare una voce alla comunità LGBTQ italiana sulla scena pubblica.
Prima, dopo
Quella fotografia fa da spartiacque nella vita di Mariasilvia Spolato. Prima, era stata una brillante docente di matematica, autrice di manuali per Zanichelli. Ma era stata anche un’attivissima pubblicista. Dapprima per il primo gruppo di liberazione omosessuale in Italia, il FLO (Fronte di Liberazione Omosessuale), da lei fondato. Successivamente, quando il FLO confluì nel F.U.O.R.I! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), per la rivista omonima diretta con Angelo Pezzana. Inoltre, aveva dialogato con i movimenti omosessuali di liberazione europei e americani: questa esperienza era confluita nel volume I movimenti omosessuali di liberazione del 1972. Dopo, continuò a collaborare con il F.U.O.R.I! e con il collettivo di Via Pompeo Magno. Ma in Mariasilvia, ripudiata dalla famiglia e dalla compagna, licenziata “per indegnità” a causa della sua visibilità come lesbica, qualcosa si sgretolò. Senza fissa dimora, iniziò a vagabondare e, nel 1976, fece perdere le proprie tracce.
23 anni da invisibile
Ricomparve nel 1999, quando fu intervistata in occasione dell’apertura di “Casa Margherita”, struttura protetta a Bolzano. La donna, infatti, vi era stata accolta dopo 23 anni da senzatetto, dormiva sui treni e nelle stazioni di mezza Europa. Si era rassegnata ad affidarsi ai servizi sociali solo dopo un ricovero in ospedale per una gamba in cancrena. Era così Mariasilvia, testarda e indomita: nell’intervista ammette di essere stata stanca di vagabondare, ma temeva di perdere la propria libertà facendosi aiutare.
Avevo sempre paura di non essere più libera. E io invece voglio essere libera.
Ma perché l’Italia e il mondo si ricordassero di lei è stato necessario aspettare fino al 31 ottobre 2018. Il giorno in cui si è spenta in una casa di riposo.
Perché ricordare Mariasilvia Spolato
Con questo articolo non intendo scrivere un encomio funebre. Non intendo farlo perché Mariasilvia Spolato non è morta: vive nella sua eredità. Ascoltando discorsi come quello della Meloni del 19 ottobre scorso, schiumo di rabbia. Ma se io e tanti altri possiamo esigere dalla politica italiana di non essere considerati cittadini di serie B, è anche grazie all’impegno di Mariasilvia. Il lavoro culturale da svolgere affinché nessuno neghi più dignità e diritti ai membri della comunità LGBTQ è enorme. Ma possibile, in virtù della consapevolezza della comunità e grazie al supporto di una parte consistente dell’opinione pubblica. Forse è proprio questa visibilità, questa possibilità di sostenersi reciprocamente, l’eredità più importante di Mariasilvia. Oggi è più difficile discriminarci perché abbiamo una voce per difenderci. Abbiamo una voce per raccontarci, chiedendo supporto – o almeno rispetto – da amici e familiari. Oggi non siamo soli. Per questo non ringrazieremo mai abbastanza Mariasilvia Spolato.
Valeria Meazza