La realtà dei cittadini italiani si scontra di nuovo con gli ostacoli imposti dalla legge: in questo caso si tratta di Serena Galassi e Giada Buldrini e la legge-ostacolo è quella relativa al riconoscimento dell’autorità genitoriale.
Le due donne infatti sono madri di due bambini nati nel 2013 tramite la tecnica eterologa. La fecondazione, avvenuta in una clinica di Barcellona, ha visto Giada donare i suoi ovuli e questi ultimi venire impiantati nell’utero di Serena, che ha dato alla luce i due gemelli. In altre parole, Giada è la madre genetica dei figli e perciò è madre allo stesso modo della compagna Serena.
Il desiderio di dare ai due figli i cognomi di entrambe (con le relative implicazioni legali a tutela dei due bambini) ha spinto la coppia gay a richiedere al loro comune di residenza, Riccione, il riconoscimento della potestà genitoriale a Giada. Richiesta che ha visto un netto rifiuto da parte del comune, ma questo non le ha scoraggiate e hanno deciso di fare ricorso, con il sostegno del legale Katia Buldrin.
“Abbiamo solo applicato la legge e la legge non prevede due madri“, ha spiegato la sindaca di Riccione Renata Tosi, giustificando la posizione presa dall’amministrazione del comune di sua competenza. Di tutt’altro avviso è il presidente di Arcigay Rimini Marco Tonti, per il quale la decisione del comune è “pura e semplice omofobia, un’omofobia che purtroppo ricade anche sui più piccoli“. Infatti, come fa notare anche l’avvocata della coppia gay Buldrin, limitare la genitorialità a solo uno dei genitori è un elemento per potenziali futuri problemi nella tutela dei due minori, oltre che rappresentare una negazione dei diritti del genitore escluso: se Serena dovesse morire, ad esempio, i figli andrebbero in custodia ai genitori di quest’ultima e Giada non potrebbe rivendicare alcun diritto su di loro, perché agli occhi della legge italiana non ha alcuna autorità genitoriale riconosciuta.
Giada e Serena si sono mosse solo recentemente invece di provvedere al momento della nascita dei figli poiché hanno voluto attendere un cambiamento nelle legislazione italiana: “[…] Auspicavamo che lo Stato italiano adeguasse le proprie leggi. Quando sono nati non c’erano le unioni civili o la step child adoption […]”. Cambiamento che però è avvenuto solo a metà.
Distacco tra realtà e norma
Se infatti da un lato la legge è chiara e riconosce come madre solo colei che ha partorito il bambino, è pur vero che sono molti i casi di infrazione della legge per venire incontro alle esigenze della realtà delle persone coinvolte e non bisogna dimenticare gli esiti dei ricorsi al TAR in merito ai respingimenti delle richieste e che ne hanno decretato l’invalidità. In questo senso, la vicenda di Giada e Serena non rappresenterebbe un precedente eclatante, ma anzi a favore della coppia gay vi sono molti fatti concreti.
L’infrazione della legge tuttavia non è una valida soluzione a lungo termine al problema: la realtà dei fatti dimostra l’urgenza e la necessità di una normativa che includa e regolamenti anche queste situazioni; le resistenze di natura ideologica alla lotta civile della comunità LGBT su questi temi sono segno di scarsa consapevolezza della realtà.
Barbara Milano.