Ci hanno insegnato che ricchezza e povertà sono frutto di scelte individuali, ma non è così

ricchezza e povertà

Un genio, un fuoriclasse, uno che ce l’ha fatta. Così si identifica, nel pensiero comune o sui mass media, un imprenditore affermato. Nelle interviste a Elon Musk o Jeff Bezos, si chiede quale sia la ricetta del successo, come se questa fosse accessibile a chiunque. Al contempo, sfruttamento e disuguaglianza sono concepiti come un male inevitabile, facente parte dell’ordine naturale delle cose. Insomma: il mondo è fatto di vincitori e di vinti, l’unica aspirazione possibile per ciascun individuo è che sull’ascensore sociale ci sia posto anche per lui. Perché, quando si tratta di ricchezza e povertà, il dibattito segue una direzione quasi univoca? E soprattutto: è quella giusta?

Il feticcio della super ricchezza

Secondo un rapporto dell’Oxfam , metà della ricchezza del globo appartiene all’1% della popolazione. Si parla di miliardari. Per capire quanto le risorse siano maldistribuite, basta un semplice calcolo. Provate a immaginare di guadagnare 10mila euro in 24 ore. Incredibile, no? Ecco, adesso pensate a come sarebbe incassare tale cifra ogni giorno per 200 anni, due secoli: sembra moltissimo, ma la somma totale a cui arrivereste è comunque meno di un miliardo.

La forbice che separa ricchezza e povertà si sta allargando in maniera spropositata: i businessman vedono crescere i loro profitti, mentre la soglia di povertà si abbassa e la crisi erode progressivamente la classe media.

Eppure, chi non vorrebbe rientrare in quell’1%? Quante volte si desidera ottenere una fortuna finanziaria, senza farsi troppe domande sul come e sul perché di essa?

La classe degli intoccabili

Nei confronti di ricchezza e povertà, vi sono diversi livelli di tolleranza. Mentre l’una non è considerata un problema ed è, anzi, ammirata, l’altra è spesso vista come il frutto di scelte sbagliate. In altre parole: se sei nella miseria è perché non hai saputo sfruttare le tue possibilità, gestire le occasioni, trovare l’idea imprenditoriale che potesse trascinartene fuori. Se sei agiato, invece, è perché hai lavorato sodo. Questo principio di intoccabilità è emerso chiaramente durante l’ultima proposta di riforma al sistema fiscale. Presentato a novembre da alcuni deputati di Liberi e Uguali e del PD, il disegno introduceva, fra le altre cose, una tassa progressiva sui patrimoni superiori a 500mila euro. Come si può ben immaginare, il provvedimento avrebbe inciso per la maggior parte sui benestanti e, infatti, ha incontrato sin da subito la strenua opposizione di tutti i partiti, da destra a sinistra.




povertà

I poveri sono tali perché hanno fatto scelte sbagliate?

La verità è che non sempre ricchezza e povertà sono il risultato di comportamenti personali. Non viviamo in un mondo totalmente meritocratico e il famigerato ascensore sociale non funziona per tutti allo stesso modo. Gran parte di ciò che un individuo può diventare, dipende dal contesto in cui nasce e cresce: un bambino povero avrà meno opportunità di uno ricco già dai primi anni di vita e questo influenzerà la sua mentalità e le sue ambizioni. Non è un caso che il 70% degli studenti di Harvard provenga da famiglie con fasce di reddito molto alte. Lo stipendio medio di chi iscrive i propri figli alla prestigiosa università è il triplo della media nazionale. La disponibilità di mezzi per crescere e svilupparsi è dunque molto squilibrata. Spesso gli appartenenti ai ceti bassi sono tali non perché hanno compiuto scelte sbagliate ma perché, semplicemente, ne hanno meno. Diversi studi lo dimostrano.

Convinzioni errate permeano la società

Secondo una teoria pubblicata nel 1980 dallo studioso di sociologia Melvin Lerner, tutti noi ricerchiamo la certezza di vivere in un mondo equilibrato, prevedibile nelle sue concatenazioni di cause ed effetti. Per questa ragione, quando ci si trova di fronte ad un’ingiustizia, si tende a normalizzarla, a cercare una spiegazione logica che permetta di mantenere invariato lo status quo. Ecco perché il pensiero che una persona venga pagata in base al proprio valore è fortemente radicato nella nostra società, tanto da permeare anche le classi medio-basse. Il divario enorme che esiste fra la paga di un manager e quella di un suo operaio è giustificato con la differenza di capacità e di performance. Per un inconscio meccanismo psicologico, di fronte a una disuguaglianza si pensa che la realtà dei fatti debba andare così, che non si possa agire per cambiarla.

Due aspetti di uno stesso fenomeno

Appellarsi ad una rivoluzione sarebbe utopico, ma possiamo pur sempre prendere coscienza di determinate situazioni e sviluppare un pensiero critico a riguardo. Dire che l’impegno e la dedizione non sempre bastano per arrivare dove si vuole non è una questione di vittimismo, ma di consapevolezza. Sostenere che qualcuno proveniente da una famiglia umile ce l’ha fatta, non dimostra che questo sia realizzabile per tutti. Individuare la miseria e non la super ricchezza come una piaga sociale, significa non aver chiaro che i due fenomeni sono due facce della stessa medaglia: il disequilibrio nella distribuzione delle risorse. Cambiando la narrativa sarà possibile influire sulla mentalità comune. E chissà che questo, un giorno, non porti a un cambiamento strutturale.

Alessia Ruggieri

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