La riapertura del CPR di Torino, avvenuta nella giornata di oggi, lunedì 24 marzo, dopo due anni di inattività, ha acceso un vivace dibattito pubblico e scatenato manifestazioni di protesta. Situato in corso Brunelleschi, nel capoluogo piemontese, il centro ospita migranti irregolari in attesa di rimpatrio, ma nel corso degli anni è stato oggetto di critiche per le difficili condizioni di vita e per episodi drammatici che ne hanno segnato la storia. Tra accuse di violazione dei diritti umani e promesse di miglioramenti nella gestione, la riapertura del CPR di Torino si inserisce in un contesto complesso, con associazioni e attivisti che ne contestano l’utilità e la sostenibilità.
Il Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) di Torino ha riaperto i cancelli dopo due anni di chiusura, riportando con sé le polemiche legate alla sua controversa gestione. La struttura era stata chiusa nel 2023 in seguito ai danneggiamenti provocati da alcune rivolte e ora torna operativa con una capienza iniziale di 20 posti, destinata a salire a 60 quando sarà pienamente funzionante.
La riapertura del CPR di Torino è avvenuta in un clima di tensione, accompagnata da manifestazioni e interrogativi sulle promesse fatte dalla nuova cooperativa che si occuperà della gestione interna.
Proteste e dissenso nella comunità locale
Il ritorno del CPR ha scatenato una serie di proteste nella città. Nei giorni precedenti alla riapertura, associazioni, sindacati e cittadini si sono mobilitati contro quella che definiscono una struttura disumanizzante, accusata di violare la dignità dei migranti detenuti. Una delle manifestazioni simboliche si è svolta sabato 22 marzo, quando una copia della celebre statua “Marco Cavallo”, simbolo della lotta per la chiusura degli ospedali psichiatrici, è stata portata davanti al CPR per esprimere solidarietà alle persone che verranno trattenute all’interno.
Alice Ravinale, capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra in Consiglio regionale, ha commentato con durezza la riapertura del CPR di Torino, affermando che da lunedì a Torino “ci saranno di nuovo persone private della libertà e della dignità solo perché straniere”. Le condizioni all’interno del centro, ha aggiunto, rischiano di riproporre situazioni già criticate in passato, con persone umiliate, disperate e spesso sedate tramite l’abuso di psicofarmaci.
Sanitalia e il nuovo modello di gestione: tante promesse, molti dubbi
La gestione del CPR è stata affidata alla cooperativa torinese Sanitalia, che si è aggiudicata l’appalto biennale da 8,4 milioni di euro. La cooperativa ha promesso di migliorare le condizioni interne attraverso l’introduzione di servizi aggiuntivi, come il potenziamento della mediazione linguistica, supporto psicologico e un maggior numero di operatori notturni. Molti dei dettagli presenti nell’offerta tecnica presentano incongruenze e sembrano più adatti a un centro di accoglienza piuttosto che a un CPR.
Ad esempio, Sanitalia ha garantito un servizio di mediazione linguistica che dovrebbe coprire oltre cento lingue e dialetti e offrire supporto personalizzato ai migranti detenuti. La cooperativa ha inoltre parlato di un’attenzione particolare alla dimensione culturale e al sesso dei detenuti, nonostante il CPR di Torino sia una struttura destinata esclusivamente a uomini.
Un’altra promessa riguarda la preparazione dei pasti, che sarà affidata a una struttura esterna gestita dalla stessa cooperativa. Sebbene queste proposte siano state accolte con interesse, molti osservatori restano scettici sulla loro effettiva realizzazione, soprattutto alla luce delle criticità storiche dei CPR.
Le condizioni criticate e i precedenti drammatici
In passato, le condizioni di vita all’interno del CPR di Torino sono state oggetto di aspre critiche da parte di associazioni e organizzazioni per i diritti umani. Spesso descritto come un luogo disumanizzante, il centro è stato accusato di negare ai migranti ogni forma di socialità e di offrire cure sanitarie insufficienti.
La vicenda più tragica legata al CPR di Torino è quella di Moussa Balde, un giovane guineano che si è suicidato nel 2021 dopo essere stato messo in isolamento in una sezione particolarmente austera della struttura. Questo episodio ha riacceso il dibattito sulla gestione dei CPR e ha portato all’apertura di un processo che vede imputati l’ex direttrice del centro e il responsabile medico.
Secondo un’inchiesta condotta nel 2023 da Altreconomia, la somministrazione di psicofarmaci ai detenuti era una pratica quotidiana utilizzata per mantenere l’ordine e sedare eventuali rivolte. Anche questo aspetto è stato più volte denunciato come sintomo di una gestione fallimentare e poco trasparente.
La difficoltà di rimpatriare i detenuti: problemi strutturali
Uno dei principali nodi irrisolti legati ai CPR, che si ripropone nell’odierna riapertura del CPR di Torino, riguarda l’effettiva possibilità di rimpatriare le persone detenute. Nonostante le ingenti spese sostenute per la gestione di queste strutture, solo una percentuale relativamente bassa dei migranti trattenuti viene effettivamente espulsa. Nel caso del CPR di Torino, nel 2023 erano state rimpatriate solo 46 persone su 235 detenute.
Questo problema è legato alla mancanza di accordi bilaterali tra l’Italia e molti dei paesi d’origine dei migranti, che rende difficile dare seguito ai decreti di espulsione. Di conseguenza, molti detenuti rimangono bloccati per mesi nei CPR, in condizioni precarie e senza alcuna prospettiva concreta di uscita.
Con la riapertura del CPR di Torino, le associazioni e i cittadini promettono di mantenere alta l’attenzione sulla gestione e sulle condizioni interne. Lunedì 24 marzo è previsto un nuovo presidio davanti al CPR, organizzato dal centro sociale torinese Gabrio, per ribadire l’opposizione a una struttura considerata simbolo di un approccio fallimentare alla gestione dell’immigrazione.
Mentre il governo continua a difendere la necessità dei CPR come strumento per garantire la sicurezza nazionale, il dibattito sul loro ruolo e sulla loro efficacia è destinato a rimanere acceso, alimentato dalle storie di sofferenza e marginalizzazione che emergono da questi centri.