Retorica politica: espansione e restrizione dei simboli

retorica politica
Retorica politica e linguaggio giornalistico: una coppia affiatata

La propaganda politica fa spesso ricorso alla retorica di alcuni concetti astratti. Alcuni di questi vengono ripresi dal linguaggio giornalistico, dandoci così degli indizi sull’orientamento della testata che li riporta. Insomma, difficilmente si troverà il termine ‘giustizia a orologeria’ su un quotidiano con simpatie grilline. Tornando alla retorica politica, se ne cela molta dietro certe generalizzazioni. O meglio, banalizzazioni, diciamolo pure. Il linguaggio simbolico è la matrice di tutte le propagande.

Su cosa poggia la retorica politica

Occorre fare una premessa: il linguaggio è un codice simbolico, quindi un segno che evoca un significato in base alla sua interpretazione. Fermiamoci per comodità a questa breve definizione, senza scomodare la semiotica tutta. Dunque, la retorica politica sfrutta  il linguaggio per raggiungere più elettori possibili. La credibilità è il capitale da investire in campagna elettorale, ma non è un monopolio! Qui infatti entra in gioco la concorrenza degli altri partiti: propaganda versus propaganda. In passato, le idee erano centrali nella lotta politica. Oggi invece, nell’era dei personalismi, si preferisce scalfire la credibilità dell’altra fazione.

Credibilità: il capitale della retorica politica

Esistono tanti modi per screditare la reputazione di qualcuno, e la cronaca politica offre molti esempi. Cavaliere docet. Le vicende giudiziarie sono bersagli facili per gli avversari del malcapitato. Il Movimento 5 Stelle questo lo sapeva bene, si ricorda Dibba che legge la sentenza Dell’Utri  ai cancelli di Arcore. Anche grossi scoop possono essere cavalcati per racimolare consensi. Secondo alcuni, la salita nei sondaggi della Lega di Bossi era dovuta anche allo sfacelo della Prima Repubblica per via di Tangentopoli. Al giorno d’oggi, persino un’uscita infelice può far perdere punti con gran facilità. L’estate scorsa si parlò per giorni di Durigon che rimpiangeva l’ex denominazione fascista di un parco a Latina. Per farla breve, ci sono tante strategie per condurre una lotta politica. Argomentare è quella più noiosa.

Espansione e restrizione dei simboli: che significa?

Secondo gli studiosi Lasswell e Kaplan, ci sono delle strategie che mirano a espandere, o a restringere, la portata di alcune opinioni, agendo sui simboli che le rappresentano.

Espansione dei simboli

Quando un’opinione non ha molta credibilità, si cerca di universalizzare la questione. I simboli si espandono, e rappresentano una parte più grande di realtà. Buttarla in caciara, in termini tecnici. E qui la retorica politica: non è che il politico è indagato, è che la giustizia a orologeria lo perseguita (ah ecco!). In questo modo, la questione non è più individuale ma di interesse comune. Facciamo un altro esempio. Un corteo fascista che per difendersi dalla legge fa appello alla “libertà di espressione“. La trivializzazione è la granata fumogena che il malcapitato lancia per fuggire dal torto. A causa di quest’arma retorica, si creano paradossi logici a dir poco grotteschi.

Di Pietro, ospite di un talk su Mani Pulite, disse che, sentendo certe argomentazioni, la crisi dei vecchi partiti era la vittima del suo lavoro e del governo delle toghe. Ricapitoliamo. ‘Processi per mafia‘ si espande in ‘giustizia a orologeria‘. ‘Corteo fascista‘ si espande in ‘libertà di espressione‘. ‘Corruzione sistemica‘ si espande in ‘governo delle toghe‘. “Ho sonno, credo che schiaccerò un coma”.

Restrizione dei simboli

Viceversa, chi gode di maggior credibilità cerca di argomentare in modo specifico e particolare. Personale, in certi casi. Accade, ad esempio, quando un’opinione viene giudicata sulla base della persona che l’ha espressa: fallacia ad hominem, strategia molto usata in politica. Oltre ai personalismi, la restrizione di simboli riguarda anche altri temi.

Tra i tanti, i sostenitori del reddito di cittadinanza evidenziano come esso sia utile al ceto basso della società. Dal canto loro invece, gli oppositori descrivono ipotetici scenari di inerzia giovanile. Tesi ben argomentate hanno fatti e dati alla mano. La mera propaganda no.  Ricapitoliamo. ‘Incentivo a non lavorare‘ si restringe in ‘aiuto alla classe povera‘. ‘ Partito fascista‘ si restringe in ‘partito conservatore‘. ‘Dittatura sanitaria‘ si restringe in ‘misure anti Covid’.

Giornalismo o propaganda?

Le fallacie logiche non riguardano solo la politica, pertanto pure il giornalismo è spesso sospettato di faziosità, giacché le notizie non vengono mai riportate in modo oggettivo. Tuttavia, bisogna riconoscere che ci sono opinioni più faziose di altre. Ecco: quando ci si imbatte in un salto simbolico bisogna stare attenti a non finire dietro le sbarre di teoremi fantasiosi. Non è una condanna in toto alla dote di argomentare! Ovvio che si parta da un caso particolare per arrivare a un giudizio universale. Per converso, si casca nella propaganda quando si invertono le parti.

Il teorema diventa premessa. Il giudice diventa cospiratore. Il sussidio diventa matrice di inoperosità. E il riscaldamento globale ci fa inquinare facendoci comprare più condizionatori (‘naggia a lui!).

Matteo Petrillo

 

Fonte di questo articolo è il libro “Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?” di Guido Gili
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