Respinti e portati in Libia dalle truppe italiane: la storia di cinque eritrei

Respinti e portati in Libia dalle truppe italiane: la storia di cinque eritrei

Oggi hanno fatto ingresso in Italia legalmente. I cinque eritrei hanno diritto al risarcimento danni e un visto di ingresso.

Un epilogo è da oggi aggiunto alle pagine di una storia passata ma importante, che sembrava quasi essersi perduta. I protagonisti sono cinque cittadini eritrei che, nel 2009, furono respinti dall’Italia mentre cercavano di varcare le nostre soglie. Il Tribunale di Roma ha finalmente riconosciuto il diritto all’ingresso sul territorio, grazie al rilascio di un visto per accedere alla domanda di protezione internazionale.

Oggi i cinque eritrei sono giunti in Italia legalmente, e sono stati accolti da Amnesty International Italia e Associazione studi giuridici sull’immigrazione. Una storia che dà i brividi, e che ora scopriremo anno dopo anno.

29 GIUGNO 2009

Il 29 giugno 2009, partì dalle coste della Libia un’imbarcazione con a bordo 89 persone (75 uomini, 9 donne e 3 bambini), che avevano con sé la richiesta per presentare asilo politico. Fu poi la Marina Militare Italiana a soccorrerli nel pomeriggio del primo luglio.

Tra di loro c’era H. che, in un’intervista rilasciata da Asgi, ha detto:

“Quando abbiamo visto la nave che ci ha soccorsi e abbiamo capito che erano italiani eravamo felici. Eravamo esausti, affamati, spaventati ma abbiamo pensato che finalmente tutto sarebbe andato per il verso giusto. Hanno detto che eravamo al sicuro e che finalmente potevamo stare tranquilli, che ci avrebbero portato in Italia. Ci hanno dato da bere e da mangiare, hanno fatto le foto con i nostri bambini. Hanno mentito”.

La Guardia di Finanza Italiana ha però portato nuovamente i migranti alle autorità libiche. Le 89 persone sono state rinchiuse in centri di detenzione, in cui sono stati per mesi esposti a trattamenti inumani, degradanti e violenti. E questo le autorità italiane lo sapevano benissimo.

Arrivati a Tripoli, era presente anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), che è andato addirittura a visitarli all’interno delle carceri. Molti di loro erano malati, e H. racconta di aver contratto proprio lì dentro una malattia alla pelle gravissima.

Nei mesi successivi e quando sono riusciti ad uscire da quel carcere, molti di loro hanno tentato nuovamente di attraversare il Mediterraneo, ma alcuni hanno perso la vita. Altri di loro sono riusciti invece a raggiungere l’Israele e lì a restare.




 

25 GIUGNO 2014

Asgi e Amnesty International, dopo l’accaduto, sono riusciti a rintracciare i cittadini eritrei giunti in Israele e ad attivare un’azione legale presso il Tribunale civile di Roma nei confronti della Presidenza del Consiglio e dei ministeri degli Esteri, della Difesa e dell’Interno.

Così, il 25 giugno 2014 gli eritrei hanno chiesto il diritto a fare ingresso in Italia per accedere alla protezione internazionale e il risarcimento dei danni subiti a seguito del respingimento illegale.

Secondo la sentenza, deve essere infatti effettuato un risarcimento di 15mila euro a persona; hanno inoltre diritto a ricevere un visto di ingresso per garantire loro il diritto di protezione internazionale.

Questa è stata dunque una sentenza che andrà alla storia, perché è riuscita a tutelare soggetti stranieri e a denunciare un fatto illegale commesso dalle autorità italiane. L’Italia è condannata per aver impedito l’ingresso dopo “un respingimento collettivo, in violazione dei principi costituzionali e della Carta dei diritti dell’Unione europea”.

30 AGOSTO 2019

Oggi sono dunque arrivati, all’aeroporto di Fiumicino, cinque eritrei in modo del tutto legale e con la consapevolezza di aver vinto anche questa battaglia.

Dovranno adesso entrare in quarantena, come previsto dalla normativa per Covid-19, e poi avviare le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale.

E’ avanzata inoltre la proposta di procedere all’ingresso di moglie e figli, e si attende la risposta delle autorità consolari.

E SE…?

Finalmente però possiamo dire di essere stati un passo più avanti rispetto al solito, rispetto alla cattiveria di portare degli esseri umani in luoghi che non possono nemmeno essere definiti tali.

Esseri umani, dunque, ma soprattutto persone.

Il danno provocato, ma che continua a esistere ancora in numerose storie di immigrazione, non è solo fisico ma anche interiore. E nemmeno i soldi risarciti hanno il potere di colmarlo.




 

L’unica domanda da farsi – che siamo cittadini, politici, religiosi, madri, padri, uomini, donne – è questa:

E se fossimo stati noi anziché loro?

Cosa sarebbe accaduto?

Stefania Meneghella

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