L’Ambasciata italiana a Tripoli perde la causa contro una vittima dei respingimenti illegali, ma non rispetta la sentenza del giudice

Respingimento illegale in Libia: l'Ambasciata italiana perde la causa

Continuano le ingiustizie perpetrate dal governo italiano nei confronti dei richiedenti asilo. L’ultima riguarda Harry, un rifugiato sudanese che nel 2018 era stato vittima del respingimento illegale della Asso Ventinove in Libia.

L’ONG Mediterranea Saving Humans ha annunciato la notizia che Harry ha vinto la causa intentata contro parte del governo italiano,  ma l’Ambasciata italiana a Tripoli ancora non rilascia i documenti necessari per il suo trasferimento in Italia, non rispondendo ai solleciti dei legali e di fatto ignorando la sentenza del Tribunale di Roma.



La sentenza del Tribunale di Roma

Nella sentenza si legge che il giudice del Tribunale di Roma “accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara il diritto del sig. Harry (nome di fantasia) di presentare domanda di protezione internazionale in Italia e ordina alle amministrazioni competenti di emanare tutti gli atti ritenuti necessari a consentire il suo immediato ingresso nel territorio dello Stato italiano”.

Così, lo scorso 10 giugno, Harry ha vinto la causa intentata contro parte del governo italiano, in particolare contro il Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero dell’Interno, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e l’Ambasciata d’Italia a Tripoli.

Si tratta di una bella vittoria non solo per Harry, che da troppi anni vive nei centri di detenzione libici, ma anche per il suo team legale e per il JLProject, un progetto di Mediterranea Saving Humans che da anni segue il caso. “Abbiamo scoperto il caso nel 2019, abbiamo trovato le prove della sua illegalità, abbiamo pianto i morti che sono  susseguiti negli anni (Josi e Seid, morti di fame e malattia nei lager libici, Amela, stuprata e uccisa da un libico…), ci siamo ancora più legati ai sopravvissuti e abbiamo cercato di aiutarli”, si legge nel loro comunicato.

Ma non è ancora tempo per i festeggiamenti. Nonostante la sentenza sia esecutiva e Harry abbia il chiaro diritto di prendere un aereo per Roma, l’Ambasciata italiana a Tripoli, che ha perso la causa e per effetto della sentenza dovrebbe emettere immediatamente un documento sostitutivo (in quanto Harry non è in possesso di un passaporto, condizione comune alla maggioranza dei rifugiati, ma solo di un documento della UNHCR che ne dichiara lo stato di rifugiato) che consenta ad Harry di poter finalmente lasciare la Libia, non lo ha ancora fatto.

“Temiamo che l’Ambasciata, in modo platealmente scorretto, stia cercando di perdere tempo” denuncia JLProject. “Tante, troppe cose potrebbero capitare ad Harry in Libia: potrebbe essere ucciso, morire di fame. Forse l’Ambasciata spera in una futura causa d’appello che ribalti il primo grado, non sappiamo. Quel che è certo è che Harry oggi ha il diritto di prendere subito quell’aereo e lasciare per sempre l’inferno della Libia”.

L’Ambasciata, infatti, non sta rispondendo ai solleciti dei legali di Harry, ignorando, di fatto, la sentenza del giudice.

Il respingimento illegale in Libia della Asso Ventinove del 2018

Il respingimento illegale in Libia di cui è stato vittima Harry è avvenuto nel 2018 dalla nave “Asso Ventinove” della Augusta Offshore nell’ambito di operazioni coordinate dalle autorità italiane in Libia e con la collaborazione della Guardia Costiera libica.

Il caso è emerso quando cinque cittadini eritrei che, con il sostegno di ASGI e Amnesty International Italia, hanno avviato un’azione civile sulla illegittimità del respingimento in Libia del 2 luglio 2018 messo in atto dalla Asso Ventinove, un’imbarcazione italiana. Alla base dell’azione legale ci sono testimonianze di sopravvissuti, i tracciati e i documenti della compagnia navale.

Nei circa due anni di indagini in cui i governi italiani hanno respinto ogni tipo di accesso civico alle comunicazioni in mare nella notte tra l’1 e il 2 luglio 2018, oltre a non aver mai risposto a un’interrogazione parlamentare sulla vicenda, la verità è venuta fuori lo stesso. Un respingimento illegale collettivo enorme, che ha coinvolto più di 150 persone, sarebbe stato disposto e coordinato dalle autorità italiane nell’ambito di un evento SAR tenuto segreto ai cittadini. E non sarebbe la prima volta.

In quell’occasione, infatti, come in molte altre, almeno 150 persone sono state riportate in Libia e rinchiuse nei centri di detenzione del Paese, luoghi in cui le condizioni di vita disumane e le torture sono ben note. Alcune di quelle persone sono riuscite ad ottenere protezione internazionale e ad arrivare in Europa dove hanno portato a processo il governo italiano, l’armatore e il capitano della nave per avergli impedito di richiedere il diritto d’asilo.  Si tratta di un caso importante poiché l’azione civile, per la prima volta, coinvolgeva anche soggetti privati.

La ricostruzione dell’operazione

Il gommone su cui viaggiavano i 150 migranti, per lo più provenienti da Eritrea, Etiopia e Sudan, ha iniziato ad avere problemi poco dopo la partenza, motivo per cui viene subito chiesto soccorso alle autorità italiane, segnalando la propria posizione. A raggiungere l’imbarcazione è una motovedetta libica che, a causa delle condizioni meteo non era in grado di procedere con l’operazione. A questo punto interviene la Marina Militare italiana di stanza a Tripoli, che chiede alla nave Asso Ventinove di soccorrere la motovedetta libica. La nave privata italiana allora preleva i passeggeri e si mette in viaggio verso Tripoli.

Le autorità militari italiane hanno negato ogni coinvolgimento nelle operazioni. Tuttavia, il diario di bordo della Asso Ventinove mostra che sono state proprio loro a coordinare tutto nonostante la piena consapevolezza degli abusi e delle violazioni che avvengono nei centri di detenzione libici e del rischio di respingimento negli Stati di provenienza. Il governo italiano non ha fatto altro che delegare i respingimenti illegali, senza esimersi però dalle sue responsabilità, coordinando i soccorsi, strutturando la guardia costiera libica e dando legittimità politica al governo libico. è in questo quadro che sono state sviluppate azioni per far dichiarare l’illegittimità della condotta italiana per i respingimenti in Libia e per far riconoscere un risarcimento alle vittime.

Le violazioni dei diritti

In quell’occasione, lo Stato Italiano, l’armatore e il capitano della Asso Ventinove avrebbero violato numerose norme interne, internazionali e comunitarie. Innanzitutto, l’operazione di respingimento va contro la possibilità dei cittadini stranieri di chiedere asilo, un diritto garantito non solo dalla Convenzione di Ginevra, ma anche dall’articolo 10 della Costituzione italiana. Inoltre, ad essere violato è stato il divieto di respingimenti collettivi verso stati in cui la persona rischia di subire torture o persecuzioni, quindi non sicuri. In questo senso, l’operazione avrebbe violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infine, le norme internazionali sul diritto del mare stabiliscono che i soggetti impegnati in un’operazione di salvataggio si liberano della loro responsabilità solo conducendo le persone soccorse in un luogo sicuro, e la Libia di certo non rientra in questa descrizione.  Va ricordato infatti che i migranti soccorsi, nel momento in cui sono saliti sulla nave Asso, che si trovava in acque internazionali, sono di fatto entrati in territorio italiano. Tra le numerose violazioni di diritti si somma anche il mancato diritto ad un avvocato. “Prendere la procura legale di un rifugiato in Libia è impossibile”, dice l’avvocata ASGI Lucia Gennari.

Il JLProject fa appello a tutti per chiedere al Governo italiano l’immediato rilascio dei documenti di Harry e si augura che le ingiustizie continue subite da questo e da tantə altrə uomini, donne e bambinə vititme di respingimento illegale in Libia cessino una volta per tutte.

Aurora Compagnone

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