Sessanta lavoratrici di un resort in Sardegna si sono ribellate.
Le donne non hanno accettato le nuove condizioni di lavoro, che avrebbero comportato un orario più lungo ed uno stipendio meno consistente per tutte. Solo qualcuna di loro si era adattata alla nuova situazione nel resort in Sardegna, per poi arrendersi dopo soli 12 giorni.
Il loro rifiuto non aveva però scoraggiato la direzione del resort in Sardegna (per la precisione a Cala Gonone, nel comune di Dorgali in provincia di Nuoro). I datori di lavoro hanno infatti reagito sostituendo immediatamente le 60 cameriere, che erano impiegate in quel resort da 20 anni.
È scattata così la protesta sui social, che ha ottenuto una risonanza tale da attirare l’attenzione delle testate locali.
Altre donne senza troppi scrupoli prendono il nostro posto e noi restiamo basite davanti a questa ingiustizia. Magari sono le stesse donne che l’8 marzo vanno a festeggiare non si sa bene cosa […] È giusto che nel nostro territorio arrivi personale da fuori disposto a farsi sfruttare al nostro posto? Non ci interessano i conflitti politici, vogliamo solo provocare una seria riflessione perché questa situazione non diventi una regola
Questo hanno scritto le 60 cameriere di Dorgali, lasciando esplodere un meccanismo che troppo spesso abbiamo visto scattare nel nostro Paese.
Le difficoltà economiche, il lavoro che stenta a decollare ed il cerchio che si chiude sempre sui meno agiati.
Un meccanismo che naturalmente genera rabbia e disagio, che in qualche modo vanno però ad abbattersi dall’anello debole a quello ancora più debole.
Di certo non possiamo che essere vicini alle ribelli, condividendo la loro frustrazione per essere state messe in condizioni di rinunciare al lavoro che svolgevano con efficienza da 20 anni.
L’emergenza da Covid-19 ha sicuramente ridotto il potere economico di numerose attività italiane. Ma il lavoro sottopagato, non riconosciuto e sfruttato è un meccanismo fin troppo noto nel nostro Paese, già da prima che il Coronavirus facesse capolino.
Anziché riconoscere ai lavoratori il rispetto che meritano, li si spreme come limoni, perdendo totalmente di vista il fatto che siano risorse preziose per le aziende, e soprattutto il loro diritto ad essere ricompensati per i propri sforzi e a condurre una vita dignitosa.
E poiché la miseria genera miseria, ecco che, per uno che rifiuta, si trova subito qualcun altro che accetti condizioni meno vantaggiose.
Perché il bisogno porta al doversi necessariamente accontentare.
Non si sa bene in quale maglia di questa malata catena nasca, poi, quel contagiosissimo virus del povero contro il più povero. Il malcontento che ricade sulle spalle di chi è costretto ad accettare condizioni da fame, piuttosto che sui volti di chi ne approfitta.
Così le lavoratrici di Nuoro, seppur impegnate in una giustissima protesta, si chiedono:
È giusto che nel nostro territorio arrivi personale da fuori disposto a farsi sfruttare al nostro posto?
Bisognerebbe chiedersi se è giusto che chi regge il manico del coltello approfitti del bisogno di lavorare di chi non si sottrae alla fatica.
Anche la sindaca di Dorgali, Maria Itria Fancello, schierandosi giustamente con le lavoratrici, ha però sottolineato un particolare importante:
Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito ad un progressivo ed incessante peggioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori dipendenti. […] Chi reagisce, ribellandosi a questo sistema, ha il mio massimo rispetto e il mio appoggio, perché è grazie a chi ha il coraggio di protestare che si ottengono i cambiamenti. Allo stesso tempo non mi sento in alcun modo di biasimare chi, avendo necessità di lavorare, accetta condizioni più svantaggiose. Le scelte personali vanno rispettate, tutte. Auspico piuttosto un intervento del legislatore affinché si mettano nuovamente al centro della discussione politica i diritti dei lavoratori dipendenti, e nel contempo si aiutino le imprese riducendo il costo del lavoro per le stesse.
Intanto Gianni Russo, direttore generale di Club Esse, ha rilasciato una dichiarazione ad ANSA.
Russo ha dichiarato che la vicenda del villaggio di Cala Gonone è stata, per l’azienda, incomprensibile e dolorosa. Egli ritiene di aver chiesto alle 60 donne di parlarne e di lasciare alla direzione il tempo di organizzarsi, senza però ottenere riscontri.
Mariarosaria Clemente