Il CDC americano ha diffuso ieri una nota piuttosto allarmante riguardante il caso di una donna di 70 anni uccisa da un super-batterio che ha mostrato una resistenza agli antibiotici capace di resistere a qualsiasi cosa i medici hanno tentato di opporgli.
Un nuovo campanello di allarme per autorità e ricercatori che ricorda che per quanto questi casi di morte da super-batteri siano ancora piuttosto rare il problema della resistenza agli antibiotici è tutt’altro che un rischio teorico e che chi paventa che potremmo essere alla vigilia di un periodo davvero brutto in cui potremmo tornare a confrontarci con epidemie da infezioni batteriche forse non è solo un allarmista.
Il caso
Un donna di 70 anni residente a Reno in Nevada, la donna aveva passato due anni in India dove era stata ospedalizzata più volte per problemi relativi a un’anca, il 18 agosto scorso viene ricoverata a Reno con diagnosi di una grave infiammazione dovuta a un’infezione probabilmente dovuta a un sieroma (un deposito di liquido molto comune come effetto collaterale di interventi chirurgici). La donna è morta in seguito a uno shock settico ai primi di settembre.
Il killer
Il batterio killer si è rivelato essere la Klebsiella pneumoniae che è stata capace di resistere a ben 26 antibiotici diversi, tutto lo spettro a disposizione dei medici negli USA, grazie al già conosciuto enzima New Delhi metallo-beta-lactamase (NDM-1). L’NDM-1 è stato individuato per la prima volta nel 2009 e anche in quel caso il paziente (uno svedese di origine indiana) era affetto da Klebsiella pneumoniae. Questo enzima rende i batteri resistenti ad un ampio spettro di antibiotici beta-lattamici, inclusi gli antibiotici della famiglia dei carbapenemi che per lungo tempo sono stati il punto fermo su cui i medici potevano contare per contrastare i batteri resistenti agli altri antibiotici.
In seguito alla vicenda della donna morta in Nevada il CDC ha emanato tre raccomandazioni:
1) la prima è di non mancare mai di inviare al CDC i campioni relativi a casi di resistenza agli antibiotici;
2) la seconda è di prendere tutte le precauzioni per evitare che qualsiasi infezione da super-batterio sia prontamente isolata evitando che si possa diffondere;
3) quando si ammette un paziente informarsi su eventuali ospedalizzazioni precedenti specialmente se fuori dagli USA ma anche in aree degli Stati Uniti conosciute per avere alta incidenza di CRE (enterobatteri che resistono ai carbapenemi).
Roberto Todini