Resilienza, dal latino re-si-li-re, significa non lasciarsi spezzare.
Come i materiali deformati, che tornano alla forma originaria.
Oppure, dal verbo resalio: risalire. Cadere e, ciononostante, riuscire a rialzarsi.
Come gli eroi silenziosi descritti da Tacito nell’ Agricola. Non è un eroe chi s’immola per la libertà, ma chi resta a combattere nella speranza di poterla riconquistare.
Come la Ginestra di Leopardi alle pendici del Vesuvio. Perennemente esposta alla minaccia di un’eruzione, eppure immobile e fiera, difficilissima da strappare.
“Non lasciare che questi bastardi ti spezzino” è il motto di The Handmaid’s Tale, romanzo distopico di Margaret Atwood.
Così è stato per gli esseri umani nel corso della storia.
Quando a Liliana Segre chiedono, durante il suo discorso al Parlamento europeo, come abbia fatto a resistere durante la “marcia della morte”, lei risponde:
Si riesce perché la forza della vita è straordinaria.
Quella forza è la stessa che possedevano gli schiavi deportati in America e costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone. Malmenati, frustrati, violentati, umiliati, spogliati della loro dignità eppure in grado di dar vita al blues, musica nata dalla sofferenza, bellezza generata dall’orrore.
Resilienza è quella che appartiene a chi decide di trascorrere settimane nel deserto, mesi nei centri di detenzione libici per poi finire per giorni su un gommone in mezzo al mare. Tutto questo solo per la speranza di raggiungere una terra migliore.
Per la prima volta dopo tanto tempo, anche noi, in Occidente, ci troviamo a dover affrontare una situazione estrema, in cui la vita è ridotta all’osso.
Tutte le vanità svaniscono dinanzi alla questione più importante: vivere o morire. Dunque si potrebbe dire che la resilienza non sia altro che mero istinto di sopravvivenza. Tuttavia non è così, perché la resilienza non riguarda il corpo, bensì lo spirito. Sopravvivere non equivale a vivere.
Si vive solo se si può ancora sperare di trovare una vita migliore, di riconquistare la libertà perduta, di ritornare alla normalità.
Perciò, in un periodo come questo, in cui la normalità sembra aver subito una frattura apparentemente insanabile, è necessario ricordare, per citare il celebre film le Haine, che “l’importante non è la caduta, ma l’atterraggio”.
Giulia Di Carlo