Repubblica fondata sul lavoro, non sul caporalato

Discriminazione salariale tra braccianti sfruttamento nel Parco naturale del Circeo Caporalato

Contro il caporalato: oggi è 1 maggio, Festa dei lavoratori, un’altra occasione per ribadire con forza la nostra opposizione a qualsiasi forma di sfruttamento e di schiavitù.

Il caporalato è una forma criminale di sfruttamento di manodopera a basso costo. Il caporale è colui che fornisce all’imprenditore la manodopera in nero, trattenendo per sé una parte del denaro destinato ai lavoratori come tangente. Questi lavoratori, spesso migranti irregolari senza permesso di soggiorno, vengono schiavizzati. Non hanno nessuna sicurezza sanitaria; guadagnano meno di 30 euro al giorno per dodici ore di lavoro; subiscono spesso minacce e violenze. Lo ribadiamo: il caporalato è un reato penale.

Il caporalato e la condizione schiavistica dei braccianti

I braccianti sono soggetti passivi di condizioni paraschiavistiche: la raccolta di pomodori, come quella, ad esempio, di fragole o arance, tocca più da vicino questi individui invisibili alla società. Il caporalato è un’intensificazione dello sfruttamento dentro le reti criminali di stampo mafioso. Il caporale è una persona che sa controllare la manodopera, è capace di esercitare la minaccia, di lucrare in assenza dello Stato e della mediazione legale tra domanda e offerta di lavoro. I caporali sono delle figure tuttofare: selezionano la manodopera necessaria per il lavoro nei campi; organizzano gli spostamenti in camion dalla mattina alla sera; distribuiscono il compenso a nero (da cui attingono una parte anche della loro retribuzione).

Il bracciante e lo stato di bisogno

I braccianti accettano lavori a bassa retribuzione perché non hanno alternative. Nessun’altro ricoprirebbe questo lavoro a queste condizioni. Il più delle volte i braccianti sono soprattutto migranti, coloro che appartengono a una fascia di popolazione invisibile e priva di tutele, ma che allo stesso tempo costituiscono un motore insostituibile dell’agricoltura italiana. Fenomeni come la globalizzazione e i flussi migratori hanno contribuito ad aumentare la quota di coloro che sono stati colpiti dal fenomeno del caporalato. Il consumatore che mangia un piatto di prodotti coltivati in Italia, il più delle volte è ignaro di quello che si nasconde dietro la raccolta di quegli stessi prodotti. A fomentare questa sistema è lo stato di bisogno del bracciante: il datore di lavoro sfrutta i bisogni primari di chi cerca lavoro. Si trae profitto dalla disperazione di chi cerca di andare avanti. Questa situazione spesso deteriora la salute, non solo fisica, ma anche mentale dei braccianti: circa il 35-40% dei braccianti si dopa. A questo si aggiungono anche i casi documentati di suicidio tra i braccianti agricoli.

Leggi contro il caporalato e diritti fondamentali del lavoratore

La normativa attuale è insufficiente. Prima del 2011 il caporalato non era punito: si rischiava solo una sanzione amministrativa di 50 euro per ciascun lavoratore sfruttato. Nel 2016, la Legge 199, promulgata nel tentativo di combattere il caporalato, si è rivelata anch’essa carente. Nel 2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha effettuato quasi 4’000 controlli e circa 2’300 aziende non risultarono in regola. Non ci sono fondi, né per incrementare la rosa dell’Ispettorato, né per provvedere a nuove tecnologie di sorveglianza con droni e telecamere: ma il punto qui è lavorare sulla prevenzione del fenomenoBisogna conoscere quali sono i diritti fondamentali del lavoratore. Anche quando il lavoro è in regola, non vuol dire che i diritti siano garantiti. Il ricatto del bisogno rende difficile per i sindacati stabilire un primo contatto con i soggetti sfruttati, questo perché gli stessi migranti si vedono trattati solamente come braccia da sfruttare. La mancanza di fiducia iniziale nei luoghi informali rende difficile riuscire a creare una relazione per strutturare un percorso di consapevolezza sui propri diritti e di acquisizione di strumenti per difendere i propri diritti. Ma abbiamo bisogno di costruire questi percorsi di orientamento, di fare in modo che ciascuno di noi sia capace di acquisire una propria autonomia perché sia possibile per tutti comprendere cosa significhi davvero vivere in maniera regolare il mondo del lavoro. 

 

Carmen della Porta

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