Un’immagine complessa e articolata emerge dal più recente report UNHCR, basato sui dati raccolti da un questionario a cui hanno risposto 194 studenti universitari richiedenti e beneficiari di protezione internazionale. L’indagine è stata presentata durante il convegno “Manifesto dell’Università Inclusiva”, organizzato dall’Università Lumsa, in collaborazione con l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) e Ruiap (Rete delle Università Italiane per l’Apprendimento Permanente). Tale studio evidenzia le sfide, i progressi e le aree critiche che coinvolgono questi giovani all’interno del sistema universitario italiano.
Il “Manifesto dell’Università Inclusiva”: un quadro per il futuro
Il convegno ha rappresentato un momento chiave per riflettere non solo sui dati emersi, ma anche sulle potenziali soluzioni per migliorare l’inclusione degli studenti rifugiati nelle istituzioni accademiche. Il “Manifesto dell’Università Inclusiva”, al centro del dibattito, è stato promosso per sottolineare l’importanza di un ambiente accogliente e inclusivo per i rifugiati che accedono all’istruzione superiore. Tale documento si pone l’obiettivo di offrire un modello concreto di inclusione basato su politiche e prassi che facilitino l’accesso all’istruzione, la permanenza negli studi e il successo accademico di coloro che sono spesso costretti a lasciare il proprio paese di origine a causa di conflitti o persecuzioni.
Il Manifesto invita le università a intraprendere azioni specifiche per abbattere le barriere che i rifugiati incontrano durante il loro percorso educativo, dall’accesso ai servizi di orientamento e tutorato, fino al riconoscimento delle qualifiche e dei titoli di studio conseguiti all’estero, che spesso rappresentano uno degli ostacoli più complessi. Si tratta di un documento ambizioso, che riflette una volontà condivisa di costruire una cultura accademica più inclusiva e aperta.
Gli studenti rifugiati nelle università italiane: dati e analisi
Il report si basa su un campione di 194 studenti rifugiati iscritti a 35 atenei italiani. L’indagine mira a fornire una panoramica esaustiva delle esperienze e delle difficoltà che questi studenti affrontano, nonché dei progressi realizzati nel contesto universitario italiano. L’aspetto che emerge con maggiore forza dai dati è la diversità delle esperienze vissute, strettamente legate a vari fattori come il paese di origine, il background familiare e la conoscenza della lingua italiana.
Il 44% dei partecipanti possiede lo status di rifugiato, il 16% proviene da paesi terzi con permesso di studio, mentre il 14% ha ottenuto protezione temporanea.
Uno dei problemi più frequentemente segnalati dagli intervistati riguarda la difficoltà di accesso ai servizi amministrativi e burocratici delle università, spesso caratterizzati da una complessità che risulta opprimente per chi proviene da sistemi educativi e culturali profondamente differenti. A ciò si aggiunge la questione della lingua: sebbene molti rifugiati riescano ad apprendere l’italiano in tempi relativamente brevi, la barriera linguistica rimane una delle principali cause di insuccesso o abbandono degli studi. Infatti, per quanto riguarda la lingua, la padronanza dell’italiano costituisce uno degli ostacoli maggiori nei percorsi di integrazione universitaria: il 37% degli studenti riferisce di avere una conoscenza base, mentre solo il 21% possiede un livello avanzato. Questa percentuale sale al 62% per la lingua inglese.
Non tutti gli atenei, infatti, offrono supporti linguistici sufficienti, come corsi di italiano per stranieri, che potrebbero agevolare il percorso accademico di questi studenti.
Barriere burocratiche e riconoscimento dei titoli di studio
Un altro ostacolo significativo è rappresentato dal riconoscimento delle qualifiche accademiche ottenute nei paesi d’origine. Molti studenti rifugiati, prima di lasciare il proprio paese, avevano già intrapreso studi universitari o avevano conseguito titoli di istruzione superiore, ma le procedure per il riconoscimento di questi titoli in Italia si rivelano spesso lunghe e complesse. Il mancato riconoscimento delle competenze acquisite all’estero comporta inevitabilmente una dispersione di capitale umano, con il rischio che molti giovani, pur possedendo competenze qualificate, non riescano a completare o proseguire gli studi.
Il report sottolinea l’importanza di riformare e snellire queste procedure, nonché di adottare misure specifiche per i rifugiati, che spesso non possono fornire una documentazione completa a causa delle difficoltà affrontate nei loro paesi d’origine. Diverse università italiane stanno già implementando misure in questo senso, come programmi di tutoraggio individualizzato e percorsi di studio flessibili, ma l’intervento sistemico rimane ancora parziale e disomogeneo.
L’impatto psicologico dell’esperienza migratoria
Uno degli aspetti meno visibili, ma profondamente sentiti, è l’impatto psicologico che l’esperienza migratoria ha su questi studenti. Fuggire da situazioni di conflitto, violenza o persecuzione lascia spesso segni profondi, che influenzano la capacità di concentrazione, la motivazione allo studio e, in generale, il benessere psico-fisico. Il report evidenzia come molti studenti rifugiati affrontino difficoltà emotive e psicologiche legate non solo al trauma del passato, ma anche all’incertezza del futuro. Per questi giovani, l’università rappresenta non solo un luogo di apprendimento, ma anche una possibilità di riscatto e di costruzione di un nuovo progetto di vita.
Tuttavia, il supporto psicologico disponibile all’interno delle università italiane è spesso insufficiente o non adeguato a rispondere alle specifiche esigenze di chi ha vissuto esperienze traumatiche. L’indagine suggerisce che sarebbe opportuno rafforzare i servizi di assistenza psicologica e sociale, fornendo personale specializzato in grado di comprendere e supportare le problematiche legate alla migrazione forzata.
Inclusione e successo accademico: storie di resilienza
Nonostante le molteplici difficoltà, il report mette in evidenza anche storie di successo e resilienza. Molti studenti rifugiati riescono a superare le barriere iniziali e a progredire con successo nei loro studi, dimostrando una notevole capacità di adattamento. Questi giovani rappresentano un esempio di come, con il giusto supporto e le opportunità adeguate, sia possibile costruire percorsi di integrazione efficaci, che arricchiscono non solo i singoli individui, ma anche l’intera comunità accademica.
L’inclusione degli studenti rifugiati, infatti, non riguarda soltanto la loro integrazione nel sistema educativo, ma ha anche un valore aggiunto per le università stesse, che possono beneficiare di una diversità culturale e di prospettive che arricchiscono il dialogo accademico e sociale. Un ambiente universitario inclusivo e pluralista, come sottolinea il Manifesto, rappresenta non solo un dovere morale, ma anche un’opportunità per tutta la società.
Conclusioni e raccomandazioni
Il report dell’UNHCR fornisce una fotografia chiara e dettagliata delle sfide e delle opportunità che caratterizzano l’esperienza universitaria dei rifugiati in Italia. Se da un lato emergono difficoltà strutturali e burocratiche che richiedono interventi concreti e mirati, dall’altro risulta evidente l’importanza di politiche inclusive che possano realmente garantire a questi giovani un accesso equo all’istruzione superiore.
L’indagine offre una serie di raccomandazioni per migliorare il sistema: la semplificazione delle procedure burocratiche, il potenziamento dei servizi di supporto linguistico e psicologico, e la promozione di programmi di tutoraggio individualizzati. Inoltre, si sottolinea l’importanza di creare reti di sostegno tra università, istituzioni e organizzazioni non governative, affinché l’integrazione degli studenti rifugiati possa avvenire in maniera più efficace e coordinata.
In definitiva, l’università inclusiva, come delineata dal Manifesto, rappresenta una sfida complessa ma necessaria per garantire che tutti, indipendentemente dal proprio passato o dalle difficoltà incontrate, possano accedere a una formazione di qualità e costruire un futuro migliore. Il percorso è ancora lungo, ma l’impegno di istituzioni come l’UNHCR e delle università italiane rappresenta un segnale positivo verso una società più giusta e solidale.