Report Save the Children: bambini in zone di guerra 1 su 5

Report di Save the Children

Il Report di Save the Children “Stop the war on children: the pathway for peace” lancia un dato allarmante: nel 2023 il numero di bambini in zone di guerra è 1 su 5. In aumento (del 15%) anche le violenze che sono costretti a subire, soprattutto in Sudan, Ucraina e Palestina. Oltre a omicidi e mutilazioni, già di per sé raccapriccianti, i bambini sono vittime anche di altri tipi di soprusi: i maschi, ad esempio, vengono costretti ad arruolarsi; le femmine – considerate come oggetti – subiscono abusi e sono soggette a schiavitù.

Bambini in zone di guerra: diritto all’infanzia calpestato

Il report mette in risalto anche episodi di negazione dell’accesso umanitario, anche questa considerata una grave violazione verificatasi contro i bambini in zone di guerra. Questo vuol dire che alle popolazioni, principalmente ai bambini, vengono negati gli aiuti umanitari che spettano loro di diritto, lasciandoli in balia dei conflitti che incombono su di loro.

Le disposizioni che garantiscono il rispetto dei diritti umani

All’interno del report di Save the Children sono riportate una serie di disposizioni legali e politiche che i vari Stati hanno sottoscritto con l’obbligo e l’obiettivo di proteggere i bambini in zone di guerra. Alcune di queste includono: la Convenzione di Ginevra, la Convenzione sui diritti del fanciullo (CDF) e la Dichiarazione politica sul rafforzamento della protezione dei civili dall’uso di armi esplosive nelle aree popolate. Purtroppo, però, 43 Paesi membri delle Nazioni Unite non hanno aderito a molti di questi strumenti, pur essendo alcuni di essi coinvolti in conflitti armati.

Cosa ne pensa il CEO di Save the Children International

In merito alla tragicità di questi eventi si è espresso il CEO di Save the Children International, Inger Ashing:

«Questo rapporto è devastante e non lascia dubbi: il mondo sta diventando sempre più pericoloso per i bambini. Negli ultimi anni, a livello globale, abbiamo assistito a vari progressi in materia di diritti e protezione dei bambini, ma nei Paesi in guerra la situazione sta drasticamente peggiorando».

Ha poi proseguito, sottolineando l’importanza di investire nella prevenzione, piuttosto che nelle armi:

«Assistiamo ad un continuo aumento della spesa militare globale, mentre gli investimenti nella prevenzione dei conflitti sono in calo. Ciò dimostra che ci stiamo focalizzando sull’aspetto sbagliato e le conseguenze sono devastanti. I conflitti in corso nella Repubblica Democratica del Congo, nei territori palestinesi occupati, in Sudan, in Ucraina e in molti altri Paesi, hanno visto una terribile escalation di attacchi contro bambini, contro scuole e ospedali: violazioni che hanno suscitato un’indignazione globale, ma senza che ad essa sia ancora seguito alcun impegno reale e significativo per la pace». 

Infine, Ashing ha concluso con un appello a tutti gli Stati:

«Gli Stati devono agire. Devono sostenere gli standard di condotta nei conflitti. Devono chiedere conto ai responsabili. Devono proteggere l’accesso umanitario. Hanno bisogno di piani di pace a lungo termine. E devono sostenere la resilienza e la ripresa dei bambini. Il futuro di milioni di loro dipende da interventi immediati e tempestivi».

The pathway for peace

I conflitti che sono attualmente in corso nel mondo, oltre a risultare riprovevoli in termini di vite umane, gravano economicamente su tutti i Paesi direttamente o indirettamente coinvolti. Dal report di Save the Children è risultato che l’ammontare della spesa militare globale nel 2023 ha superato l’intero PIL italiano.

La situazione drammatica che traspare dal report ha riportato a galla la necessità e l’urgenza di agire a livello globale per mettere fine alle violenze che colpiscono i bambini in zone di guerra sui quali grava il peso di questi conflitti. Conflitti non decisi da loro, ma dagli Stati che avrebbero il diritto di proteggerli, garantendo loro istruzione, sanità e soprattutto quello, tra tutti i diritti, più importante: il diritto alla serenità.

Alessandra Fuina

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