L’Italia nel 2023 ha speso 78,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (SAD). La somma corrisponde al 3,8% del PIL nazionale. I capitali investiti in SAD, negli ultimi 13 anni, oltre 383,4 miliardi di euro, sono stati utilizzati principalmente in attività, progetti e opere connesse ai combustibili fossili. Questi sono alcuni dei dati allarmanti emersi nell’ultimo report di Legambiente.
I settori più finanziati sono quello energetico, 43,3 miliardi di euro, il settore dei trasporti (12 miliardi di euro), e quello edile, 18 miliardi di euro investiti con un aumento di un miliardo rispetto all’anno precedente. Nei trasporti in particolare resta preoccupante la differenza nel trattamento fiscale tra benzina e gasolio (3,1 miliardi) e GPL e metano (3,6 miliardi).
In tutti i settori pesano i sussidi emergenziali: 33 miliardi per il settore energetico (per finanziare 50 interventi) e 374 milioni di euro per il settore trasporti. Con una cifra simile secondo Legambiente sarebbe possibile produrre in maniera sostenibile circa 30 TWh di energia pulita, ovvero la quantità necessaria al fabbisogno di 12 milioni di famiglie.
Dei quasi 80 miliardi spesi sono circa 25,9 quelli che potrebbero essere eliminati o contenuti entro il 2030 e in particolare alla voce trivellazioni che nel 2023 sono pesate allo Stato 642 milioni di euro. Su questo bilancio pesano però anche le mancate entrate fiscali legate ai canoni e alle royalties del settore oil&gas.
Tramite il Capacity Market le centrali fossili hanno ricevuto sussidi per 1,7 miliardi di euro, finanziamento aumentato di 160 milioni rispetto all’anno precedente. Il Capacity Market, introdotto nel 2019, è il meccanismo con cui vengono sostenuti economicamente tutti quegli impianti in grado di entrare in funzione nei momenti di maggior consumo.
Questo sistema al momento favorisce gli impianti fossili e sono 63 i progetti finanziati: 22 i potenziamenti e 41 i nuovi impianti. Simile discorso vale per le caldaie a gas installate con supporto statale (687.532 nel 2023) e costate circa 4,2 miliardi di euro.
Altro punto dolente nella politica energetica italiana è rappresentato dagli oneri di sistema, che pesano sulle spese energetiche familiari per 9,5 miliardi e sono impostati come sussidi diretti e non come fiscalità generale.
Il report di Legambiente arriva nei giorni in cui a Baku si sta svolgendo la Cop 29, la Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Tra i capi di stato partecipanti alla conferenza anche la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, criticata da Legambiente per il suo discorso dove ha definito l’utilizzo di combustibili fossili come inevitabile.
Secondo Stefano Ciafani, presidente dell’associazione, invece:
«L’alternativa esiste già. Il Governo Meloni imbocchi la strada giusta e prenda un impegno serio sul clima e una giusta e rapida transizione energetica verso un futuro libero dalle fossili. Basta finanziare un modello energetico sbagliato, basato su gas, carbone e petrolio.»
Nel report di Legambiente ci sono poi richieste più specifiche all’attuale governo come riformare le accise e le tasse sui diversi combustibili fossili, mettere in sicurezza energetica il paese, o modificare un sistema che incentiva il settore edilizio a danno di possibili incentivi, per esempio, per la decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento. L’obiettivo posto dall’associazione è quello del 91% di copertura nel settore elettrico entro il 2030. Asticella che si alza fino al 100% entro il 2035.
La richiesta di un cambiamento radicale nelle politiche energetiche e ambientali passa anche da manifestazioni e cortei in piazza. Ultimo in ordine cronologico il Climate Pride, tenutosi sabato 16 novembre in Piazza Vittorio a Roma e a cui hanno partecipato migliaia di persone e 60 associazioni. Tra le parole chiave esposte dai partecipanti «fonti rinnovabili», «risparmio energetico» e soprattutto «giustizia climatica planetaria».