Replacement Theory: la funesta teoria del complotto

Replacement theory

Replacement theory: la funesta teoria del complotto

L’immigrazione è, o perlomeno, dovrebbe essere, una ricchezza. Una commistione per cui l’incontro diviene moltiplicazione di conoscenza. Eppure decolonizzare il nostro immaginario per lasciare spazio alla comprensione, appare come un’ardua impresa.

La “replacement theory” mostra chiaramente l’esistenza di tale difficoltà. Nell’estremizzare rabbia e incertezze, infatti, individua nell’immigrato, una latente minaccia

L’attentato alla sinagoga di Pittsburgh del 2018, in cui morirono 11 persone, il massacro di  El Paso del 2019, in cui ne furono uccise 23, la recente sparatoria di Buffalo del 18enne Paytron Gendron, che ha provocato 10 morti e 11 feriti, posseggono una macabra armonia: sorreggono tutte, la propria volontà di sterminio, sulla “replacement theory”.

Si tratta, letteralmente, della “teoria della sostituzione”.  Secondo tali supposizioni il futuro dell’uomo bianco sarebbe condannato a sgretolarsi a causa di una “sostituzione” etnica.  Africani, asiatici e specialmente islamici, sarebbero pronti a imporre autoritativamente la propria cultura sulla popolazione bianca. È una tesi che sorge principalmente dai timori dell’immigrazione massiccia in America e rappresenta una carezza confortevole per il “bianco” lasciato ai margini dalla società.

In tal modo, costui può stilizzare un nemico, per poi associarlo al male e legittimare il desiderio di annientarlo




“È molto semplice: c’è un popolo e presto, nell’arco di una generazione, al suo posto arriva un altro popolo …” argomenta Renaud Camus, che con il suo libro del 2011 “Le grand Remplacement: Introduction au remplacisme global” diede il nome alla teoria complottista.

I riferimenti nel volume sono rivolti alla situazione francese, all’interno della quale, la mescolanza di etnie dovuta al passato coloniale, viene descritta e paragonata al genocidio nazista compiuto sugli ebrei. 

Non è un caso che sul fucile del suprematista Gendron, fosse riportata la scritta “nigger” e anche il numero 14, emblema dello slogan neonazista delle 14 parole. 

È piuttosto una tetra, ma studiata, intenzione di compiere stragi mirate. Alimentatasi particolarmente nel periodo pandemico, nel quale, sono pericolosamente cresciuti i siti web relativi al tema e insieme, l’interesse per gli stessi.

Nella sua paradossalità, tale congettura, non coinvolge e convince solo alcuni particolari soggetti; un sondaggio NORC  ha rivelato come un americano su tre, trovi plausibile questa tesi

E non è solo “americana”. Come dimostra in primis il libro di Camus, le dimensioni del preconcetto sono mostruosamente globali e conoscono forme di primo accesso che ne permettono la silenziosa insinuazione.

“Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli” è una delle affermazioni di Matteo Salvini che richiamano direttamente il concetto, come anche l’asserzione “ genocidio del popolo italiano”.

Dal Leader della Lega, all’omonima Giorgia Meloni per l’Italia, a Marine Le Pen e Eric Zemmour per la Francia, la “replacement theory” trova terreno fertile per il proprio sviluppo apparentemente ovunque.

Sà poi, come legare la propria ideologia ad altre sagome discriminatorie; l’opposizione all’omosessualità come all’aborto viene spiegata come una lotta all’estinzione della “razza bianca”.

È il tratto deciso di una penna intenta a suddividere il mondo in categorie. Alcune nuove, altre meno. Tutto, nella convinzione che l’individuazione forzata di un’antagonista possa un giorno redimerci.

È fanatismo, retto da chi, all’interno dell’eterna dicotomia, occuperà, fino a che avrà il potere di emarginare e ledere gli altri, il posto spregevole dell’oppressore.

Giorgia Zazzeroni

 

 

 

 

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