“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.
(Tratto dalla Dichiarazione Di Robert Schuman del 9 maggio 1950)
Manca ormai poco al Consiglio Europeo e direttamente dalla Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi da un destro che non passa inosservato all’ UE, che ha destato critiche, problemi e scontri in aula.
A partire dalla stasi istituzionale nel suo sistema di multi-level governance, citando il filosofo tedesco Habermas,
il presidente ha parlato di “frenetico immobilismo” nel descrivere l’attuale condizione dell’ UE, una piaga che attanaglia l’istituzione, la quale sembra essere ormai sorda, cieca, impassibile di fronte alle richieste e alle necessità della società civile.
Un’istituzione paralizzata. Un sistema che certo non presta fede alla sua ragion d’essere.
Da cui il malcontento generale, e quel volersi chiamar fuori che si è già palesato nella vittoria del Leave al referendum consultivo sulla permanenza nell’ UE, indetto in Regno Unito, precedente che ha tra l’altro creato il serio rischio di un effetto domino.
E alla luce del Referendum ungherese recente, che per quanto non abbia raggiunto il quorum, ha comunque segnato una posizione politica preoccupante, piuttosto che di un’eventuale vittoria al ballottaggio austriaco della fazione conservatrici, i rischi della definitiva disfatta della comunità si fanno sempre più concreti.
Non sono mancate le polemiche all’interno della Camera stessa. È tuttavia necessario, aldilà della ragione politica, dimenticare il colore rappresentato e ammettere che la condizione descritta rispecchia la realtà. Esattamente come vige l’imperativo, riproposto dal presidente, di iniziare a fare.
Certo, la valutazione politica a che si smetta di parlare di Brexit e ci si concentri sugli altri problemi, dimentica l’importanza dell’analisi che l’evento esemplare verificatisi il giugno scorsa ha. Tuttavia è pur sempre vero che la decisione del Regno Unito di chiamarsi fuori dall’Unione, non può essere l’unico tema oggetto di dibattito.
Di fronte a problemi che vanno dalla sfiducia all’immigrazione, dalla politica economica alle questioni più prettamente legali, non è più accettabile che vi sia silenzio o, dove vi è parola, delle decisioni che non trovano poi riscontro pratico.
È un Europa indecisa, un’Europa che non si sa muovere, che sbaglia e non chiede scusa. Basti pensare a quel modello dell’austerity di fronte al quale lo stesso FMI, lo scorso anno, ha fatto un passo indietro, accompagnato da un mea culpa che se non può cancellare gli errori, riscatta, nei limiti del possibile, l’istituzione.
Sì, vero, le scuse cambiano poco. Ma il primo passo è l’ammissione, no?
Ma tornando a noi, non è la prima volta che si sente parlare di immobilismo europeo. I teorici da anni avvertono e ripropongono con insistenza il tema, mettendo in luce come effettivamente questo potrebbe condurre alla fine della comunità se non verranno finalmente superati i vari interessi nazionali messi davanti dai vari membri, e si inizi invece a lavorare nell’interesse generale. Che è crescita e vita insieme.
E dopo un affondo rispetto al vuoto dei vertici di Berlino, Bruxelles e Ventotene, il presidente afferma che “l’unico punto positivo è aver fissato Roma 2017”, uno “spartiacque cruciale, decisivo”, “sessant’anni dopo la firma dei trattati istitutivi i 27 Paesi si riuniranno nella città eterna e proveranno a immaginare il futuro. È un appuntamento di grande rilievo per chi, come noi, crede che l’ UE si debba declinare a futuro e per chi la vuole contestare. Sarà uno spartiacque cruciale, decisivo”.
Quale futuro per l’Europa insomma? La risposta certo non sarà data da un semplice discorso.
Ma se saremo in grado di dar vita a un “federalismo costruito su base regionale, nato dalla necessità di unire e di integrare iniziative partenti dal basso, nel rispetto delle specificità e delle identità di ciascuno” (“Le sfide dell’Europa”, G. Mammarella P. Cacace) forse l’ UE riuscirà a splendere della luce che merita.