Sebbene i concetti di remote working, smart working, lavoro agile e telelavoro erano noti anche prima della pandemia, sono diventati d’attualità negli ultimi tre anni a causa dell’obbligo, da parte di molte aziende, di adeguarsi al bisogno di dover portare avanti le attività aziendali, seppur dovendo tenere chiusa la sede fisica.
E’ necessario spiegare la differenza tra telelavoro e smart working (tradotti, nel labirinto semantico della burocrazia, entrambi come “lavoro agile”):
Remote Working: cos’è il telelavoro?
E’ una modalità, attuabile in circostanze in cui il lavoro è interamente esercitabile da un luogo diverso dalla sede aziendale, secondo la quale il lavoratore eroga le sue prestazioni dall’abitazione senza doversi recare in ufficio
Remote Working: cos’è lo smart working?
E’ una filosofia di vita, in cui viene accantonato il concetto di pagamento “a ore” e si ragiona per obiettivi, e non è detto che non ci sia una modalità ibrida, in cui ogni tanto è prevista una riunione in presenza per fare il punto della situazione.
Molti “smart workers” sono anche dei nomadi digitali, e lavorano da varie città d’Europa e del mondo, spesso economiche, oppure semplicemente non lavorano “da casa” ma da un bar, da un educafè, da un coworking. E’ per questo che “lavorare da casa” è una descrizione riduttiva.
I vantaggi del remote working
Il vantaggio ecologico
Come abbiamo visto nei primi mesi di pandemia, il primissimo vantaggio del remote working è stato ecologico: sono bastate pochissime settimane senza lavoro in presenza per evitare l’inquinamento dovuto agli spostamenti ed ai trasporti, e ridurre in buona percentuale le emissioni.
Il vantaggio economico e una competizione più equa
Oltre a contenere le spese della sede, per gli imprenditori, l’abitudine al remote working aumenta la platea dei professionisti disponibili, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio.
Se questo spaventa molti professionisti italiani, che temono la competizione dal “Sud del mondo”, in realtà non va dimenticato, invece, il mercato che si apre per loro, all’estero, al “Nord del mondo”, dove un profilo professionale italiano, apprezzato per le nostre Scuole e Univesità di indubbia qualità, potrebbe competere per lavori prestigiosi e ben pagati senza richiedere alcuno spostamento di domicilio.
Remote Working e maschilismo domestico
Il lavoro “da casa” ha messo in luce alcune problematiche che non sono direttamente legate al remote working, ma a dinamiche “malate” precedenti: molte donne, oppresse in relazioni dove il carico domestico è tutto sulle loro spalle, hanno visto aumentare questa tendenza, non avendo più uno spazio di emancipazione esterno (anche fisicamente) alla casa, e dove potevano avere ruoli di prestigio e di responsabilità.
E’ per questo che, per alcune donne, poter lavorare da “altro luogo” rispetto alla casa è un modo per rivendicare libertà dal ruolo di cura.
Tre cose vanno dette in tal senso:
- “remote working” non è per forza “home working”, ed è per questo che molti professionisti si aggregano in loft e coworking, soprattutto freelance, ma non solo
- non va incolpato il “remote working” per dinamiche ben più antiche, e che il lavoro in presenza non riesce a risolvere, in quanto la donna rimane oppressa e sovraccarica al suo ritorno in casa.
- Inoltre, il lavoro “da remoto” ha tagliato via diversi problemi legati al lavoro in presenza: molestie, catcalling e l’importanza del “corpo” della sua avvenenza.
Smart working o sfruttamento?
Un altro problema del lavoro “per obiettivi” (problema non legato direttamente al remote working) è il carico di lavoro, un problema che il “pagamento orario” in qualche modo attenua, dando delle garanzie.
E’ capitato che lavoratori “in remoto”, durante la pandemia, ricevessero richieste di straordinario non pagato al di fuori del loro orario, seppur in una situazione di “pagamento orario” e non “per obiettivi”.
Viene da pensare, quindi, che forse è meglio un lavoro che sia trasparentemente “per obiettivi”, e, anche in questo caso, come in quello sovracitato che vede protagoniste le donne, il problema non è il “remote working”, ma al massimo lo fa emergere.
I datori di lavoro e la mancanza di fiducia
Un altro problema è quello della mancanza di fiducia. Molti datori di lavoro applicano le regole attorno all’ “obbligo” di remote working anche parziale al “minimo sindacale”, cercando di imporre la presenza in azienda il più possibile. Anche questo è un problema che il remote working fa emergere, ma di cui non è la causa: la fiducia.
Un dipendente che lavora poco e male, lo farà anche in presenza
Ripensare la propria abitazione in relazione al remote working
Il problema del remote working è legato anche alle dimensioni e al layout distributivo delle nostre abitazioni. E’ possibile che, se il remote working prenderà piede, le case verranno ripensate in modo da avere spazi dedicati all’attività lavorativa, sia per lavoratori dipendenti, sia, soprattutto, per freelance.
Souther Working e lo scetticismo.
Molte persone, durante la prima ondata pandemica e le successive, hanno deciso di “rimanere al sud” pur mantenendo il suo posto di lavoro, in “remote working”, per aziende collocate, almeno “fiscalmente”, al Nord.
Ciò ha generato polemiche, opinabili ma non è del tutto sbagliate: sono posizioni a favore di chi paga affitti, mutui, o ha speso tanto per comprare casa in posizioni strategiche per poi vedersi scavalcato di chi, privo di spese, è tornato a vivere dai genitori in un piccolo paesino con un costo della vita basso.
E’ anche vero che troppe volte la collocazione geografica ha rappresentato un grave handicap per alcuni lavoratori pieni di competenze e che venivano scartati per via della loro origine. In tal senso, il “remote working” appiana le differenze e si presenta come qualcosa di democratico.
Conclusioni
Nonostante tutte le complessità, che derivano da irrisolti della società contemporanea, ineguaglianze di genere, di etnia e di collocazione geografica, il remote working può contribuire, nel tempo, a cancellare molte di queste ineguaglianze, a renderle superflue, poco interessanti per la prestazione lavorativa. Di certo, non si dovrà mai abbassare la guardia sulla tendenza all’iniquità che ahimé fa parte dell’essere umano.