La parola “fantastico” è come il prezzemolo. Significa, di volta in volta: “bellissimo”, “immaginario”, “impossibile”, “fiabesco”… Con Remo Ceserani (Soresina, 1933 – Viareggio, 2016), accademico e critico letterario, impariamo che esso è una categoria letteraria ed estetica.
Il riferimento è al suo saggio Il fantastico (Bologna 1996, Il Mulino). L’opera non nasconde la difficoltà di definire quella che Ceserani chiama “una modalità dell’immaginario”. La necessità di farlo si sarebbe posta alla fine degli anni Sessanta, con gli studi di Tzvetan Todorov. Questi è infatti l’autore di una Introduction à la littérature fantastique (Paris, Seuil, 1970), tradotta in Italia come Introduzione alla letteratura fantastica. Essa non era certo la prima opera erudita a trattare il tema; ma ebbe il merito di rompere un pregiudizio: quello della letteratura fantastica come produzione “di consumo”, di scarso interesse culturale.
La tendenza di Todorov è a ridurre il più possibile il campo di ciò che è definibile come “fantastico” in letteratura, per evitare quell’inflazione del termine cui accennavamo. Simile è la scelta di Ceserani, che si concentra su
“una precisa tradizione testuale, vivissima nel primo Ottocento, che è continuata anche nella seconda metà del secolo e in tutto quello seguente, nella quale il modo fantastico viene utilizzato per organizzare la struttura fondamentale della rappresentazione e per trasmettere in maniera forte e originale esperienze inquietanti alla mente del lettore.” (R. Ceserani, Il fantastico…, p. 11).
Il fantastico sarebbe dunque un fenomeno letterario prettamente moderno.
Ceserani comincia con E.T.A. Hoffmann, autore del celeberrimo racconto Der Sandmann (1817). Intorno a esso, S. Freud costruì un suo noto saggio: Das Unheimliche (1919), ovvero “Il perturbante”. Lo stesso Freud fornisce una storia della parola tedesca unheimlich, descrivendola come intraducibile e utilizzando un saggio dello psicologo Ernst Jentsch.
“Fra le esperienze che secondo Jentsch danno origine al senso di inquietudine, disorientamento, angoscia che possiamo chiamare unheimlich c’è «il dubbio circa l’effettiva animazione di un essere apparentemente vivo e, al contrario, il dubbio se un oggetto privo di vita non sia in qualche modo animato».” (Op. cit., pp. 13-14)
È l’esperienza del povero Nathanael, protagonista di Der Sandmann: innamorato dell’impassibile Olimpia, si rende conto di aver dato il cuore… a una bambola semovente. Del resto, le belle cristallizzate o sonnambule erano una fissazione della letteratura ottocentesca. E l’ “uomo della sabbia”? Uno spauracchio infantile che getterebbe sabbia negli occhi dei piccoli insonni. Uno spauracchio che porta alla follia l’adulto Nathanael, tramite il cannocchiale con cui spia Olimpia e gli occhi artificiali di quest’ultima.
I sofisticati strumenti (lenti, occhi di vetro, meccanismi), figli della modernità, generano uno straniamento che rende impossibile distinguere il naturale dall’artificiale, il vero dall’immaginario: questo è il nucleo del fantastico. E, allo stesso tempo, vi si trova la consapevolezza delle profondità terribili della psiche, parimenti figlia delle scoperte ottocentesche. Identificare le proiezioni dei propri desideri e delle proprie paure con oggetti reali: questa è la causa della tragedia di Nathanael.
Perché il “fantastico” sussista, è dunque necessario un diaframma d’incertezza. Così affermava il succitato Todorov, nel 1970. “Fantastica” è l’opera letteraria che lascia il dubbio sulla natura degli accadimenti, senza spiegarne la matrice soprannaturale o naturale. Attraversato questo velo d’incertezza, si entra in altri territori: quello dello “strano” (= evento insolito, ma riconducibile a spiegazioni note) e quello del “meraviglioso” (= l’insufficienza dell’esperienza pregressa).
Ceserani individua anche procedimenti formali tipici della letteratura fantastica: 1) il gusto di rendere espliciti i meccanismi della narrazione; 2) la narrazione in prima persona; 3) l’interesse per le capacità proiettive e creative del linguaggio; 4) il coinvolgimento del lettore, tramite effetti di sorpresa, d’orrore o d’umorismo; 5) passaggi tra dimensioni diverse (dal quotidiano all’inesplicabile, o viceversa); 6) impiego di “oggetti mediatori”, testimonianze concrete dell’avvenuto evento perturbante; 7) l’ellissi, che apre quei famosi spazi d’incertezza; 8) la teatralità, ovvero la capacità di creare illusioni credibili; 9) la figuratività (ricchezza di elementi visivi); 10) il dettaglio, messo in rilievo e caricato di significato.
Per quanto riguarda le tematiche, sono tipicamente fantastiche: 1) la notte, il mondo oscuro ed infero (curioso contraltare al diffondersi dell’illuminazione elettrica); 2) l’aldilà e il ritorno dei morti, in prospettiva interiorizzata; 3) l’individuo, le cui percezioni sono al centro della narrazione; 4) la follia, come possibilità conoscitiva e discesa dentro di sé; 5) il doppio, ovvero la proiezione all’esterno di una realtà interiore; 6) l’apparizione dell’estraneo e del mostruoso all’interno della quotidianità; 7) l’eros e le frustrazioni dell’amore romantico; 8) il nulla, ovvero il rinvenimento di un “buco” nella maglia della realtà (quello spazio d’incertezza di cui dicevamo).
La capacità del “fantastico” di codificare la curiosità umana e la complessità della psiche è ricchissima. Nell’epoca del virtuale che funge da diaframma fra soggetto e realtà, poi… siamo sicuri che le sue inquietudini non abbiano più nulla da dire?
Erica Gazzoldi