Come si vive con l’HIV a vent’anni e come Remigio ha scelto di parlarne a tutti

HIV

HIV

In Italia, ogni anno, circa 3 mila persone vengono contagiate dall’HIV. Si tratta di 5,7 nuovi casi ogni 100 mila residenti, con un andamento stabile dal 2015. Attualmente, nel nostro Paese, le persone con infezione da HIV in terapia sono oltre 100 mila e l’incidenza maggiore di infezione è nella fascia di età tra i 25 e i 29 anni.  Ma non se ne parla quasi mai, soprattutto di come si affronti tutto questo a vent’anni. 

Remigio è un ragazzo normale, ha poco più di vent’anni, ha tanti sogni, tanti amici e qualche preoccupazione per il futuro. Ama il black humour, Lady Gaga e la pizza. Parla di tutte e tre queste cose dal suo profilo Twitter. E, proprio da qui, a fine dicembre 2019, ha fatto una pazzia: ha dichiarato a tutti di essere sieropositivo. Noi di Ultima Voce lo abbiamo intervistato per sapere come è andato questo mese, come si vive con l’HIV nel 2020 e, soprattutto, cosa ti spinge, in un mondo reale e virtuale in cui i leoni da tastiera e gli hater sono sempre in agguato, a fare un passo del genere.




Innanzitutto, Remigio, come stai?

Grazie per la domanda. Sto bene, in generale. La mia vita procede come quella di ogni giovane nei suoi venti: sto cercando di capire dov’è il mio posto e sto lottando per ottenere una stabilità futura tra casa, lavoro e famiglia.

E’ passato poco più di un mese da quando hai fatto una cosa che hai annunciato dicendo “Non si torna più indietro”. Hai scritto su Twitter di essere sieropositivo. Cosa ti ha spinto a farlo?

Mi piacerebbe molto dire che lo spirito sia stato completamente altruista, ma non è così. L’ho fatto per esorcizzare una paura che mi portavo dietro da anni, ormai. L’ho fatto perché voglio stare bene e voglio essere in una posizione in cui mi sento meritevole d’amore, come tutti gli altri. Per me è stato difficile arrivare a pensare “sì, meriti di essere amato come chiunque altro”. Quindi la ragione principale è che l’ho fatto per me stesso e per aprire una nuova fase della mia vita sentimentale. Ma allo stesso tempo l’ho fatto anche per usare i social nella maniera che io ritengo giusta: a mio parere dovrebbero essere piattaforme dove condividere davvero una parte di sé. Senza fronzoli e senza mostrare una vita cristallizzata nel benessere. Non siamo un classico Disney di 30 anni fa: le cose non vanno sempre bene.

E l’importante è sapere che è giusto anche avere momenti no, così se ne può prendere atto e fare qualcosa, o aiutarsi l’un l’altro. Mi è sembrato giusto usare una piattaforma dove posso raggiungere tante persone ed espormi per aiutare la causa ed indirettamente anche me. Nessuno ne parla, ma i sieropositivi ci sono eccome. E siamo come voi: abbiamo sogni, paure, aspirazioni, voglia di fare e tanta tanta energia.




Nei commenti in risposta, hai sottolineato come Internet e la vita reale oggi si fondano e confondano. Come è stato, invece, ammettere di avere l’HIV nella vita offline?

Mi ritengo molto fortunato con le persone. Sono circondato da una famiglia che mi supporta, da amici che mi sostengono sempre e riesco sempre a sentirmi libero di potermi esprimere al 100%. Questo non è affatto cambiato col virus. Tutte le reazioni sono state incredule ma di grande aiuto: nessuno ha smesso di ascoltarmi, nessuno ha smesso di abbracciarmi, nessuno ha cambiato il proprio comportamento dopo averlo saputo. E mi riferisco a persone appartenenti a diverse generazioni. Il pregiudizio è stato sconfitto dall’informazione. Sapere che non sono un mostro che diffonde morte, ma un ragazzo con una malattia cronica, semplicemente, fa passare il messaggio che nulla cambia.




Ma facciamo un passo indietro: come hai scoperto dell’HIV?

Un aspetto positivo (eviterò battute) della scoperta è sicuramente il fatto di averlo appreso vicino a persone a me care. Non sono mai stato solo, nemmeno per un momento. Lo shock è stato grandissimo, perché diciamocelo: tutti pensano di essere sieronegativi. Ma invece è una questione di pura fortuna e purtroppo, senza informazione ed accurata prevenzione è ancora troppo frequente. Mi controllavo abbastanza spesso, dato che il test è gratuito ed anonimo. Ma l’ho scoperto con l’autotest che si compra in farmacia e si prova a casa. Ovviamente, in seguito al test positivo sono andato in un ospedale per il test classico e cominciare con tutte le prescrizioni del caso.

Cosa ha cambiato l’HIV nella vita di tutti i giorni?

All’inizio non c’è stato un cambio particolare: ho cominciato la terapia antiretrovirale il mese successivo ai risultati del test. Nonostante avessi già familiarità col prendere pillole ogni giorno, a causa di altre condizioni mediche (sì, sono il ritratto della salute), ho avuto un problema con la nuova terapia. Il fatto di dover prendere una pillola durante la mattina mi ha cambiato. Avevo smesso di uscire e fare tardi anche un minimo perché altrimenti “non so se riuscirò a svegliarmi in tempo”. E questo aveva causato un po’ di malumori con amici e con il mio ragazzo. Non era una questione di orari, ovviamente: ero io a non godermi più tante piccole cose. Per fortuna ad oggi posso dire che questa è storia vecchia.

Ci ho lavorato su e complice il fatto che la terapia è cambiata sono tornato alla mia serena normalità. Le pillole ci sono ancora ma sono io al comando. Ovviamente, ho avuto anche ripercussioni nella mia vita sessuale, a cui ho dovuto abituarmi e con cui ho dovuto ragionare. Ma anche lì, adesso è tornato tutto ad una normalità un po’ diversa ma serena.

Ti sono capitati, online o offline, episodi spiacevoli relativi allo stigma sociale che riguarda l’HIV?

Anche qui mi ritengo abbastanza fortunato: ho avuto “solo” un paio di casi spiacevoli, ma lievi. Mi è capitato di essere respinto a letto, per esempio. Seppur in maniera lieve e pacata, ha fatto male, ovviamente. Ma ho rispettato da subito la decisione, perché il sesso deve essere consensuale e per tutte le parti coinvolte. Certo, la decisione di respingere una persona perché sieropositiva e con carica virale azzerata è insensata, dato che questa non può trasmettere il virus. Ma spingersi a far sesso in una situazione di anche minimo disagio non è sano. Deve essere un piacere, non una forzatura.

Altri episodi più recenti vengono dai social stessi, in quest’ultimo periodo post-dichiarazione. In privato sono stato contattato da decine di persone, per diversi motivi. In mezzo ad un mare di sostegno, supporto ed affetto, però, c’è stato anche qualche conversazione non proprio piacevole. Non scenderò nei dettagli, ma mi limiterò a dire che se tratti una persona senza tatto e la vedi solo come la sua malattia fai un grosso errore.

Qual è il tuo rapporto con la paura?

Per me la paura più grande non è quella di morire. Per me la paura più grande è quella di contagiare qualcun altro. Fortunatamente e razionalmente so che questo non può succedere, finché tengo a bada il virus. Ma ho avuto molti mesi in cui al minimo segnale andavo nel panico. Banalmente, procurarsi un taglietto con un foglio di carta mi faceva sudare freddo e mi faceva allontanare da tutti istantaneamente. Mi rinchiudevo dentro me stesso e facevo fatica a gestire la cosa. Ad oggi però sono molto più rilassato e finalmente la mia parte irrazionale è sotto controllo, in questo aspetto.

C’è qualcosa che ti ha particolarmente colpito in questa esperienza? Qualcosa che quando hai scoperto dell’HIV si è poi rivelato essere completamente diverso?

Non ero a conoscenza di tutte le informazioni del caso, che tra l’altro si possono trovare facilmente sul sito del Ministero della Salute. Direi che non c’è stato nulla di sorprendente in sé, ma anzi, viene trattato (giustamente) come una cosa normale. Un episodio che vorrei raccontare mi è capitato in ospedale, dove qualche anno fa mi sono recato per ritirare i farmaci. Ero nella sala d’attesa, solo, con una signora anziana vicino. Non so che faccia avessi, ma lei dal nulla mi ha guardato e mi ha detto: “Sei così giovane e già qui. Ma tranquillo, non temere. Io vengo qui da 30 anni e ci sono ancora”. Questa è l’umanità che mi piace.

Al netto di quello che hai provato in quest’ultimo mese, rifaresti la tua dichiarazione?

La risposta in breve è “assolutamente sì”. Ho ricevuto tanto affetto e tante testimonianze. Mi sento non più solo nella mia condizione. Ho conosciuto sieropositivi, partner di sieropositivi, gente che vuole saperne di più per aiutare e gente che aveva tanto bisogno di parlare. Ma soprattutto sto bene con me stesso di nuovo, finalmente. Ho trovato pace e serenità. Anzi, spero di continuare a poter fornire informazione a chi ne ha bisogno, perché la verità è che si tratta di un argomento ancora tantissimo di nicchia e purtroppo i disinformati sono ancora tantissimi. Quindi andrò avanti, nel mio piccolo, nel raccontare la mia realtà.

 Elisa Ghidini e (soprattutto) Remigio

Exit mobile version