Quando esce nei cinema il remake di un grande film, si crea un’atmosfera di aspettativa mista a scetticismo. I fan del film originale, in particolar modo, hanno molti pregiudizi a riguardo. Essi pensano che il rifacimento non sarà mai all’altezza del tanto amato originale. Allo stesso tempo, però, sono curiosi di guardarlo per vedere se conserva quel certo non so che presente nel primo.
Con l’inizio del XXI secolo, abbiamo assistito ad un’ondata di remake, con un’attenzione particolare per il cinema horror. Gli intenditori del genere si sono scagliati spesso e volentieri contro le nuove edizioni dei loro film preferiti. Essi hanno criticato in particolare la perdita dell’essenza del film originale.
Prendiamo in esame “L’ultima casa a sinistra”, horror statunitense del 1972. Tale film è stato il primo lavoro da regista di Wes Craven, divenuto in seguito una leggenda. La pellicola ha subito un severo lavoro di censura, a causa delle numerose scene di violenza mostrate con eccessiva crudezza. E’ forse proprio il suo precorrere i tempi che ha affascinato maggiormente il pubblico. Nel film vengono mostrati stupri, sesso saffico e molto sangue: piuttosto inusuale all’inizio degli anni Settanta. Nel 2009 è uscito un remake diretto da Dennis Iliadis. Stesso titolo, stessa trama, stessi personaggi, ma tempi diversi: nessuna censura, dunque.
Il remake non ha avuto critiche particolarmente dure, anche se il confronto con il film di Craven si fa sentire, e non poco. I film horror odierni mostrano una violenza di gran lunga più esplicita e disinibita rispetto a quelli del passato. Siamo nel 2016, e nulla è più capace di scandalizzarci, in quanto abbiamo visto tutto. Ovviamente ciò non sarebbe stato possibile senza film come “L’ultima casa a sinistra”. In un certo senso, nel 1972 è stato “necessario” inorridire davanti a scene a cui non eravamo preparati. Queste pellicole hanno preparato il terreno per la crudezza senza veli degli anni a venire.
Un altro classico horror che ha avuto un grandissimo seguito è “Non aprite quella porta”. Diretto da Tobe Hooper, è uscito nelle sale cinematografiche nel 1974. Esso racconta il massacro di un gruppo di ragazzi ad opera di “Leatherface”, un omone mascherato armato di motosega. La pellicola ha rappresentato un caso mediatico come pochi, innanzitutto per la sua presentazione. Sulla sua locandina era impresso a caratteri cubitali “Tratto da una storia vera”: una sorta di novità nel cinema horror. Per anni e anni, moltissime persone hanno creduto ciecamente all’esistenza di un uomo mascherato che massacrava i ragazzi con la motosega. Ebbene, era tutta una bufala. Il personaggio di “Leatherface” era ispirato al serial killer Ed Gein, che ha influenzato anche film come “Psycho” e “Il silenzio degli innocenti”. Niente motosega, niente maschera, niente malformazione facciale: solo la macabra abitudine di realizzare oggetti con resti umani.
Il film di Hooper è stato innovativo anche per aver coniato il termine “final girl”, che indica sostanzialmente la ragazza sopravvissuta al massacro. Sally Hardesty, interpretata da Marilyn Burns, è stata la pioniera delle final girl. Il fascino di “Non aprite quella porta” risiede anche nel budget molto basso, che ha reso la pellicola molto simile ad un mockumentary, in quanto girato con una cinepresa di “serie B”. Senza contare le atmosfere claustrofobiche, soffocanti, acuite dall’accecante sole texano. Un vero e proprio gioiello cinematografico, a cui si sono aggiunti negli anni tre sequel non molto apprezzati.
Nel 2003, il regista tedesco Marcus Nispel si è fatto coraggio e ha girato un remake del film. Esso non è stato un autentico flop, tuttavia guardandolo la nostalgia del film di Hooper è lancinante. Nessuna traccia delle atmosfere “sporche”, che lasciavano percepire allo spettatore il clima afoso e denso di paura. Nonostante ciò, la pellicola di Nispel non è priva di una certa tensione. I nostalgici dei cari, vecchi horror non si sono risparmiati le critiche, ma questa riedizione non può essere considerata un fiasco. Il segreto per un buon remake è donare le stesse emozioni del film originale, rinnovando alcuni elementi senza allontanarsi troppo dalle origini.
Veronica Suaria