A pochi mesi dalle elezioni presidenziali il governo indiano ha annunciato l’entrata in vigore di una discussa legge per agevolare la regolarizzazione dei migranti non musulmani provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan.
Il decreto era stato approvato dal parlamento già nel 2019, ma fino ad oggi nessuno ne aveva specificato i dettagli anche perché già alla sua approvazione tale norma aveva provocato non poche polemiche ed era stata accusata di essere incostituzionale e lesiva dei diritti civili degli oltre 200 milioni di indiani di fede musulmana.
Si tratta di un emendamento alla legge sulla cittadinanza indiana che attualmente prevede la prigione o l’espulsione per i migranti irregolari e fissa ad 11 anni di residenza o lavoro in India il livello minimo per ottenere la cittadinanza.
La modifica approvata stabilisce alcune eccezioni per i membri di sei minoranze religiose: induisti, sikh, buddisti, gianisti, parsi e cristiani alle quali sarebbe permesso chiedere la cittadinanza dopo soli 6 anni.
India, regolarizzazione dei migranti: le critiche dell’opposizione
Secondo le opposizioni tale legge ha lo scopo di delegittimare i cittadini musulmani dell’India e così facendo viola i principi garantiti dalla Costituzione Indiana che vieta la discriminazione su base religiosa.
Già nel 2019 l’approvazione di questa legge per la regolarizzazione dei migranti portò in piazza migliaia di persone, gli scontri con la polizia divennero quotidiani e ci furono numerosi arresti in varie città del paese tra cui quello del noto attivista per i diritti umani Yogendra Yadav.
Ad annunciare l’entrata in vigore della legge è stato un portavoce dell’attuale governo presieduto da Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP) e fautore, dal 2014 quando è entrato in carica, di una politica ben poco laica ed estremamente nazionalista e discriminatoria verso la minoranza musulmana del paese (14% del totale).
India, la politica nazionalista del governo Modi
Gli ultimi esempi in ordine cronologico della politica portata avanti dal BJP sono la rimozione dello status speciale allo stato indiano del Kashmir, a maggioranza musulmana e con ampie autonomie garantite, e la costruzione del tempio dedicato al dio hindu Ram, nella cittadina di Ayodhya nell’India del nord, sopra le ceneri di una moschea dal 16° secolo abbattuta nel 1992 da una folla di fanatici.
Il Kashmir è l’unico stato facente parte della Federazione indiana a maggioranza musulmana dove, negli ultimi decenni, hanno operato anche gruppi separatisti armati e finanziati dal Pakistan. La rimozione dello status speciale è quindi un attacco frontale di Modi verso una parte del paese da lui considerata da sempre come un problema. Ha invece un forte valore simbolico la decisione di costruire il tempio induista ad Ayodhya, dove si ritiene sia nato il dio. Lo stesso primo ministro ha inaugurato la nuova costruzione religiosa e secondo molti si tratta dell’atto simbolo delle politiche maggioritarie portate avanti da questo governo.
Il governo Modi nega che questo possa essere discriminatorio e anzi tale legge per la regolarizzazione di migranti è ritenuta necessaria per tutelare le minoranze perseguitate in paesi a maggioranza musulmana. Restano tuttavia dubbi sia sulle tempistiche dell’approvazione, avvenuta dopo anni dal voto del parlamento e a pochi mesi dalle elezioni, sia sulla mancata presenza di altre minoranze religiose come gli ahmadi provenienti dal Pakistan e i rohingya provenienti dal Myanmar, entrambe minoranze musulmane. La sensazione è che siano state scelte le minoranze religiose più vicine al governo ed escluse dal provvedimento quelle di origine musulmana.
Le elezioni che si terranno tra aprile e maggio vedono Modi candidarsi per il terzo mandato e il suo indice di gradimento sembra attestarsi intorno al 78% lasciando ben poco spazio alle opposizioni rappresentate in larga parte dal Partito del Congresso, di ideologia multi religiosa e che ha segnato la nascita dell’India moderna.
L’entrata in vigore della legge sulla cittadinanza sembra essere insomma solo l’ultimo tassello di una politica nazionalista e autoritaria che trae il suo fondamento elettorale dalla maggioranza religiosa induista del paese, reprime la stampa non allineata e porta avanti una politica volta a trasformare l’India laica e multi religiosa in uno stato nazionalista Hindu.