Registe e female gaze: donne dietro la macchina da presa
Il cinema, dalla sua nascita avvenuta nel 1895, ci ha introdotto a differenti registi. Tuttavia, nel campo della cinematografia, trovare delle registe risulta essere ancora alquanto insolito. Dopo l’esplosione del movimento femminista #Metoo, il cinema ha vissuto un periodo di riassestamento dei costumi. Grazie a questi mutamenti si è tornato prepotentemente a parlare di registe e donne dietro la macchina da presa. In modo specifico, sentiamo spesso nominare il concetto di female gaze. Di cosa si tratta? E perché pare essere estremamente collegato con il concetto di violenza?
L’importanza dello sguardo e la differenza tra male e female gaze
Quando parliamo di cinema ci scontriamo inevitabilmente con il concetto di sguardo. Essendo cresciuto con lo sguardo dei registi di sesso maschile, l’aumentare di donne dietro la macchina da presa ci ha portati a delineare il concetto di female gaze. Il sguardo del regista è di fondamentale importanza per la costruzione di una storia, poiché sarà proprio il suo occhio a delineare i passaggi fondamentali della narrazione cinematografica. Una buona narrazione deve necessariamente creare empatia negli spettatori e, alcune volte, deve anche scandalizzarlo. Detto ciò, il male gaze ci ha abituato ad un certo tipo di sguardo su questioni come: amore, violenza e sesso. Il female gaze non tenta di ribaltare lo sguardo maschile, bensì si prefigge l’obiettivo di creare un nuovo tipo di sguardo sugli stessi argomenti. Il connubio di questi due punti di vista, potrebbe aiutare lo spettatore ad entrare maggiormente in empatia con la produzione artistica a cui assiste, permettendogli di identificarsi in più situazioni. Il fenomeno dell’identificazione è di fondamentale importanza per stabilire un rapporto di fiducia e totale trasporto tra spettatore e pellicola. Una volta individuato il personaggio a noi più affine, ci si immerge in esso tentando di carpirne ogni singolo gesto.
Jennifer Kent: The Nightingale (2018)
La rappresentazione della violenza attraverso il female gaze
Abbiamo assistito tutti a film di guerra o di ossessioni amorose. Tuttavia, la maggior parte di queste pellicole, sono dirette da uomini. Le scene dedicate ad atti di violenza quali stupri o violenze domestiche che utilizzano il male gaze, tendono a mostrare un tipo di ferocia squisitamente estetizzata. Insomma, bisogna pur sempre deliziare l’occhio dello spettatore facendolo anche saltuariamente soffrire. Parlando delle scene di stupri, raramente il punto di vista è quello della donna e, se ciò avviene, parliamo comunque del punto di vista di un uomo (il regista) proiettato su una donna (l’attrice che interpreta la parte). Nel momento in cui troviamo una donna dietro la macchina da presa, la situazione pare cambiare drasticamente. Le registe tendono ad utilizzare il female gaze per indugiare sulla violenza, senza però renderla morbosa o voyeurista. La violenza diretta dalle donne non ha valenza estetica, al contrario tenta di ricreare l’azione violenta nel modo più reale e sanguinolento possibile. Persino quando la violenza non è resa concretamente (come nel caso di Promising Young Woman di Emerald Fennell) la sua percezione risulta asfissiante e a tratti tangibile. Del così detto “bello cinematografico” vi è poca traccia. Perché questo sguardo sulla violenza? Forse perché le donne sono più avvezze al contatto con il sangue, con il dolore fisico e con gli incessanti mutamenti del corpo. Un esempio eccelso di tale teoria è il film Raw diretto dalla francese Julia Docournau (Palma d’Oro a Cannes 2021 con il suo ultimo film Titane). In Raw il mutamento del corpo e il risveglio delle pulsioni sessuali all’interno di Justine sono rese graficamente grazie all’uso del genere noto come Body Horror. L’uso del sangue e del cannibalismo risultano essere metafore necessarie per comprendere la violenza fisica e mentale a cui è sottoposto il corpo di una giovane che da ragazza deve diventare donna.
Patty Jenkins: Monster (2003)
La sessualità
Fortemente collegato al concetto di violenza, troviamo il concetto di sessualità. Verso la metà degli anni ’70 assistiamo alla nascita di un movimento noto come rape and revenge movie. Questo sottogenere cinematografico è caratterizzato da una protagonista femminile, vittima di stupro, la cui reazione sarà una vendetta spietata. Da Non violentate Jennifer (Meir Zarchi – 1978) i film successivi di questo filone sono sempre stati diretti da uomini. Nel 2018 arriva un primo strappo a questa regola: The Nightingale diretto da Jennifer Kent. Assistiamo ad un primo tentativo di revenge movie al femminile, in cui la differenza risiede nell’utilizzo del costume e nell’autorialità dell’opera. La svolta definitiva arriva nel 2020 con Promising Young Woman dell’inglese Emerald Fennell. Il film, vincitore dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, mostra per la prima volta una prospettiva femminile speculare. In questa pellicola la vendicatrice non è colei che è stata abusata, bensì un’amica stretta della vittima. Cassandra è un personaggio estremamente razionale nel suo piano di vendetta, un piano che non prevede violenza fisica ma solo psicologica (almeno inizialmente). Il fattore inerente alla sessualità viene esplorato con moderazione, sia che si tratti di stupro sia che si assista ad una comune scena di sesso tra i protagonisti. L’occhio della regista resta dietro la macchina da presa e, automaticamente, accade lo stesso allo sguardo dello spettatore. Non siamo presenti nell’atto sessuale, ma lo osserviamo con rispetto e, perché no, con sfiziosa eccitazione.
Sabrina Monno