Certo, le regionali in Piemonte era difficile vincerle, ma ancora più difficile era perderle così. Tutto è cominciato con una fase di stallo tra le correnti dem, aggravata dall’inchiesta Echidna che ha costretto alle dimissioni Raffaele Gallo, il capogruppo Pd in consiglio regionale, per poi proseguire con la solita bagarre Pd-5S sulla scelta del candidato. Dati, causa e pretesto che, salvo miracoli, l’8 e il 9 giugno consegneranno la regione al governatore uscente di centrodestra Alberto Cirio. Si poteva fare meglio? Di sicuro non si poteva fare peggio.
Cos’è successo nel Pd?
La nascita di una coalizione di centrosinistra, sul modello del tripartito di centrodestra, è operazione impossibile per una ragione molto semplice: con tutte le sue correnti, già di suo il Partito Democratico è di fatto una coalizione. Le regionali in Piemonte non presentano novità di rilievo da questo punto di vista, solo conferme.
Dal momento in cui si doveva quagliare una candidatura, le correnti dem locali si sono prontamente movimentate nella oramai conosciuta gara a chi conta di più: da una parte l’ala “torinese”, fedele a Bonaccini, era decisa a sostenere il consigliere regionale Daniele Valle; dall’altra la corrente a trazione Schlein puntava sul nome di una donna, Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd nazionale.
Una delle ipotesi per sciogliere il nodo sulle due candidature contrapposte era che potesse essere il capogruppo Pd nel consiglio regionale e capolista alle passate elezioni Raffaele Gallo il candidato anti-Alberto Cirio. A smontare l’ipotesi, stavolta, ci ha pensato non questa o quella corrente, ma lo scoppio dell’inchiesta Echidna. Il padre di Raffaele, Salvatore detto Sasà, già manager Sitaf e noto esponente del Pd locale, è indagato per estorsione, peculato e violazione della normativa elettorale.
Raffaele non è indagato, ma si sa: spesso le colpe dei padri ricadono sui figli. Il danno di immagine era fatto e la candidatura compromessa. Con una nota stringata e sofferta Gallo jr ha annunciato le inevitabili dimissioni:
«A tutela dei miei figli e di mia moglie e con senso di responsabilità verso il Partito democratico, ritiro la mia candidatura per le elezioni di giugno. Prima di essere un uomo pubblico con responsabilità politica sono un padre e un marito. Mi dimetto da presidente del gruppo consiliare».
Sono seguite settimane di stallo che hanno spinto i dem a decidersi su quella che più che una candidata sembra essere una sintesi per uscire da un’impasse che iniziava ad apparire imbarazzante persino a loro: Gianna Pentenero, 60 anni, area Schlein, due volte assessora regionale e attuale assessora della giunta di Torino guidata da Stefano Lo Russo. Dopo la candidatura ha dichiarato: «Voglio liste civiche tematiche: donne, sanità, amministratori locali».
Più che “Voglio” è il caso di usare il condizionale, dato che i sondaggi la vedono distante di 20 punti rispetto al 54% di Alberto Cirio, il governatore uscente di centrodestra che sta per essere riconfermato dopo Marco Marsilio in Abruzzo e Vito Bardi in Basilicata. Delle due l’una: o a destra ci sono degli statisti illuminati che in quanto tali vengono scelti a furor di popolo a ogni elezione; oppure ci sono dei miracolati la cui campagna elettorale viene a ogni tornata agevolata dall’auto-opposizione che si fa il centrosinistra.
Intanto i 5S corrono per le comunali
La croce sulla bara delle regionali in Piemonte l’hanno messa i 5S, evidentemente convinti di poter superare i dem in materia di autolesionismo. Decisi a non accordarsi col Pd, correranno da soli con la loro candidata Sarah Disabato e il loro 8%, stando ai sondaggi più ottimisti. Certo, un simile harakiri andava motivato: Conte e Appendino ci sono riusciti, facendo passare un suicidio per un omicidio. Il “killer” lo hanno trovato nel malcapitato sindaco del Pd di Torino Stefano Lo Russo, che con le regionali c’entra come -a questo punto si può dire- i 5S alle elezioni regionali.
Ma cosa avrà fatto di tanto grave Lo Russo nella sua Torino da spingere i pentastellati a rifiutarsi di trovare un accordo non con lui, ma con il suo partito, e non per delle elezioni comunali, ma regionali? Conte e Appendino sono riusciti a spiegare anche questo.
Prima l’ex premier 5S in una diretta su X:
«Abbiamo lavorato con generosità con il Pd ma abbiamo avuto difficoltà oggettive. A Torino la giunta Lo Russo lavora in direzione opposta a quella di Appendino. Il Pd ha avuto una fuga in avanti designando una sua candidata. Ne prendiamo atto. Il M5S procederà a designare una sua candidata o candidato».
Poi il turno dell’ex sindaca di Torino:
«La politica è una cosa alta, non è questione di beghe personali. Io non guardo al passato ma al benessere presente e futuro dei cittadini. Le divergenze sono politiche: dai diritti, all’ambiente, passando per il consumo di suolo. Qui il Pd a trazione Lo Russo dimostra di essere appiattito sulle posizioni della destra regionale».
Insomma, hanno avuto la capacità di trasformare le regionali in Piemonte in elezioni comunali, coerentemente fanno opposizione al sindaco di Torino (Pd) anziché al governatore della Regione (Forza Italia), il quale senza bisogno di correre, passeggia tranquillo verso una facile vittoria. E tanti auguri al “campo largo” ma, soprattutto, al Piemonte!
Il modulo del centrodestra
Nel centrodestra i problemi sono ben altri. Ci sono state scaramucce, sì, ma per decidere come spartirsi il bottino. C’era da scegliere lo schema per la composizione del listino Cirio. Sembrava che fossero tutti d’accordo su un 5-3-2: cinque posti a Fratelli d’Italia, tre alla Lega, due a Forza Italia, con Noi Moderati a bocca asciutta. Ma gli ultimi sondaggi avevano spinto gli azzurri a chiedere un ribaltamento di posizioni con il Carroccio. Il disguido sembra ora rientrato. Lo schema rimane invariato, anche perché l’ex partito di Berlusconi ha già dalla sua la sicurezza della riconferma del governatore uscente.
La lista vedrà dunque cinque esponenti di FdI (Chiorino, Marrone, Cameroni, Sacchetto e Cigolini), seguiti dalla Lega (Carosso, Gancia, Preioni) ed infine da Forza Italia (Beccaria e Gabusi).
La nuova legge elettorale
La legge elettorale con cui si voterà l’8 e il 9 giugno per le regionali in Piemonte introduce importanti novità.
Innanzitutto, sancisce l’incompatibilità tra le funzioni di assessore e quelle di consigliere, determinando la sospensione dalle funzioni di consigliere per il periodo in cui si svolgono quelle di assessore.
Disciplina il sistema elettorale: 40 seggi sono attribuiti con sistema proporzionale in liste circoscrizionali concorrenti e 10 invece con sistema maggioritario sulla base di liste regionali abbinate al candidato Presidente.
Il premio di maggioranza determina che alla coalizione vincente vada almeno il 55% dei seggi, ovvero 28, in caso di vittoria con una percentuale inferiore al 45% dei voti validi; almeno il 60% dei seggi, cioè 30, in caso di vittoria uguale o superiore al 45% e inferiore o uguale al 60% dei voti validi; infine, almeno il 64% dei seggi, quindi 32, in caso di vittoria con percentuale uguale o superiore al 60% dei voti validi.
La soglia di sbarramento è fissata al 5% per le coalizioni e al 3% per le singole liste.
Infine, alle regionali in Piemonte verrà dato spazio alla parità di genere: nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60% dei candidati. Inoltre, l’elettore può esprimere fino a due preferenze, purché non vadano a candidati dello stesso sesso.