Il caso di Giulio Regeni occupa le prime pagine dei giornali e i titoli delle news da settimane.
Il racconto di quest’orrendo crimine, di cui è stato vittima il ricercatore italiano, è stato anche divulgato da un informatore anonimo egiziano. Comunque le indagini continueranno, insieme alla diatriba Italia-Egitto, e io non aggiungerò altro alla cronaca. Ma solo qualche riflessione.
La madre di Regeni ha rivolto un appello per la soluzione del caso di suo figlio, denunciano anche che se ne parli tanto solo perchè riguarda un occidentale. Ma aggiungendo: centinaia forse migliaia sono i casi analoghi che riguardano cittadini di quello sfortunato paese, dove imperversa una nuova crudele dittatura.
Molte mamme di desaparecidos egiziani l’hanno ringraziata e le hanno rivolto pensieri solidali, e si sono naturalmente associate alla sua denuncia. Una di esse dichiarava oggi a Radio 1 che anzi la mamma di Regeni era fortunata: perché almeno sapeva che fine avesse fatto suo figlio.
Per inciso: i tentativi di depistaggio del governo egiziano (coinvolto nel delitto, sembra senza alcun dubbio) per quanto goffi e meschini, hanno rivelato un dato culturale. Quale, direte voi. Ebbene, ricalcano tutti gli stereotipi classici dell’ “orientalismo”.
Edward Said ha definito nel suo celebre saggio così la letteratura colonialista e imperialista, che ha creato e avvalorato una immagine negativa e miserabile delle altre culture, sotto vari aspetti, recuperando cliché annosi.
Il tentativo, che è stato fatto inizialmente, di spacciare la morte di Regeni come la vicenda di un occidentale che viene a cercare avventure omosessuali mercenarie in Egitto segue la falsariga di tanta letteratura e sottoletteratura su quei paesi.
Come dire: fosse successo in Italia, il governo italiano avrebbe potuto far trovare il cadavere di un egiziano,vittima della polizia, colpito dalla lupara e con macchie di pomodoro e mozzarella sui calzoni.
Insomma, il governo egiziano pensa che per ingannare governo ed opinione pubblica di un paese occidentale convenga sfruttare quei clichè che da Occidente sono stati prodotti sull’Oriente: l’ “orientalismo“, appunto.
E’ un segno proprio della globalizzazione: gli egiziano conoscono bene cosa pensiamo di loro. Fino al punto di credere di potercelo ritorcere contro.
In realtà, quel che si ritorce contro di noi è proprio l’idea che abbiamo, cioè che quei paesi non si meritino la democrazia – che non abbiano le condizioni per reclamarla, perché sordidi e arretrati.
E infatti, quando la Cia e i nostri servizi segreti hanno rapito e deportato un imam egiziano, sospettato di terrorismo, per deportarlo in Egitto e torturarlo – quando è successo non si sono viste tante sollevazioni popolari, e anzi di recente la storia è finita con la concessione della grazia agli agenti americani a suo tempo condannati (in contumacia).
Alla fine, quello che crediamo di fare agli altri, si ritorce contro (uno di) noi. Un nostro concittadino ha fatto quella fine in quel paese, dove le potenze occidentale guardano con benevolenza una dittatura brutale : perché costituisce un antemurale contro i criminali dell’Isis…finanziati da paesi nostri alleati e da noi benvoluti come Turchia e Arabia Saudita.
Il risiko che l’Occidente gioca da anni funziona sempre meno, e rischia di somigliare al tris: quel gioco dove non vince mai nessuno – e perderanno tutti.
La verità è che ha ragione la mamma di Regeni. La sua è la ragione non solo del sentimento, ma della Ragione.
Nel nostro mondo globalizzato esiste ormai una sola civiltà, che ingloba tutte le tante e differenti culture. E il proverbiale battito d’ali della farfalla si ripercuote in tutto il globo.
Non possiamo continuare a credere di galleggiare su una bolla d’aria protetta mentre il mondo è in fiamme. E non possiamo credere di salvarci dal mondo nel caos erigendo mura altissime– se non perdendo la nostra identità democratica e occidentale tanto sbandierata. Se non finendo per veder sorgere mura sempre più alte anche dentro i confini della nostra illuminata società.
Lottare per la verità su Regeni deve voler dire lottare anche per la verità sui paesi dove delitti del genere sono faccende quotidiane, lasciate nel silenzio.
Deve rafforzarsi un movimento globale per il quale non sia meno grave un delitto che coinvolge un arabo, putacaso, che un occidentale. Così come non possiamo strapparci i capelli soltanto per le stragi terroristiche alle nostre latitudini, quando altrettante quasi ogni giorno funestano l’esistenza nei paesi musulmani.
Solo capendo che la lotta per la democrazia, il diritto, e anche il benessere è una lotta necessariamente globale ed interculturale, che non guarda ai passaporti, alle religioni o alle lingue, solo così abbiamo la speranza di veder trionfare la giustizia: qui in Occidente, come nei paesi che stanno a qualche ora d’aereo da noi.
ALESSIO ESPOSITO