Referendum sulla Brexit : nessuna isola è un’isola

Nessuna isola è un’isola, parafrasando i versi del massimo poeta lirico inglese (sulla scia di Carlo Ginzburg) : ma solo stanotte sapremo se i conterranei britannici sono d’accordo, quando disporremo dei risultati definitivi del Referendum sulla Brexit.

Referendum sulla Brexit
Referendum sulla Brexit

In questo 23 giugno inizia una seria di appuntamenti elettorali in cui la democrazia si mette alla prova, per verificare se sia precipitata in una crisi mortale – o se invece sia ancora “il peggior sistema di governo, salvo tutti gli altri”. Dopo il referendum sulla Brexit odierno, seguiranno quello italiano sulle riforme, e soprattutto le elezioni presidenziali americane (ed altri).

In questo mio articolo allora, dopo i tanti che hanno già affrontato il tema della Brexit, vorrei considerarlo in una prospettiva del più ampio respiro possibile. Con riferimento allo spazio, al tempo, al mondo delle idee.

Il Referendum sulla Brexit : un giorno decisivo

Infatti, il voto di oggi rappresenta davvero un momento storico, perché affronta almeno due problemi cruciali dell’epoca in cui viviamo: il rapporto fra democrazia e globalizzazione (che è come dire democrazia e capitalismo) ; e il rapporto fra progresso tecnologico e culturale, da un parte, e bisogno profondo e antico di identità collettiva e individuale, dall’altro.

Roba da niente, quindi.

Puntare lo sguardo su questi problemi, richiede coraggio perché formano un sistema intricato, anzi un vero gorgo, quasi un abisso pericoloso, per cui è come guardare nel vertiginoso Maelstroem.

Ciò può portare a confondersi, a perdere il senno, e forse spiega la carica di irrazionalità che ha caratterizzato tutto lo svolgersi della campagna del referendum sulla Brexit – sino all’assassinio della povera Jo Cox.

Quest’aspetto, un po’ insolito per il costume politico della Gran Bretagna, è stato sottolineato di recente da diversi commentatori, fra gli altri Colin Crouch, il politologo inventore del termine “postdemocrazia”.

La postdemocrazia è il regime che caratterizza quest’epoca di democrazia solo formale, secondo Crouch. Una situazione in cui si vota, certo : ma per il resto, la sovranità nazionale e la sicurezza economica e sociale sono in declino. Non è vera democrazia.

Crouch ha messo in evidenza come nel referendum sulla Brexit sia messa in gioca anche questa sete di identità, identità collettiva, culturale, politica : identità nazionale.

La democrazia e la identificazione nazionale hanno viaggiato insieme nella storia, come termini di una equazione il cui risultato corrisponde al progresso sociale.

In periodi di crisi, è capitato che uno dei termini di questa equazione (l’identità nazionale) abbia prevalso a scapito dei valori della democrazia: tolleranza, apertura, dialogo, uguaglianza fra tutti gli esseri umani.

Il fascismo è stato l’esempio più triste ed evidente.

Ma, sottolinea Crouch, bollare di irrazionalità la sete di identità è sbagliato : perché è un bisogno naturale di ogni persona e di ogni collettività.

La posta in gioco : democrazia e globalizzazione

Il fatto è che nel corso dei secoli l’affermazione della democrazia è stata legata a filo doppio anche al progresso dei commerci, e quindi del capitalismo : perché esso ha rappresentato la forza che ha schiantato l’antico sistema feudale, basato sul valore dell’ineguaglianza fra gli esseri umani, e sulla necessaria staticità dei rapporti fra le persone e delle idee.

Quindi, è un fatto che gli ultimi tre secoli almeno siano stati caratterizzati da un progresso che è risultato dal difficilissimo equilibrio fra due forze distinte : la prima, una spinta alla globalizzazione – e quindi all’inserimento di tutte le varie nazioni in un rete di commerci, comunicazioni, scambi culturali, viaggi e migrazioni, una rete estesa su tutto il pianeta.

La seconda forza del progresso : l’integrazione delle persone, dei gruppi, delle classi sociali, a livello di insiemi più ampi di quelli delle arcaiche e piccole comunità- famiglie, tribù, villaggi.

Questo insieme è la nazione.

Solo nell’ambito della nazione, di fatto, è stato possibile stabilire quel sistema di relazioni sociali chiamato Stato sociale – in cui la classe lavoratrice e la borghesia finanziarie e imprenditoriale hanno raggiunto un compromesso per entrambe conveniente.

Certo, la lotta condotta dal socialismo a livello internazionale ha pesato moltissimo : ma di fatto, è a livello nazionale che la democrazia liberale si è trasformata in democrazia sociale.

Da diversi decenni, invece, c’è stata una inversione di marcia: e la globalizzazione, con l’incremento dei commerci, assieme agli sconvolgimenti tecnologici legati all’estensione dei sistemi digitali, e alla finanziarizzazione di ogni aspetto del mondo, ha ricreato fratture che credevamo dimenticate.

L’Europa, cioè la Ue, a tirar le somme, non ha sinora contrastato questa deriva : anzi, sembrerebbe averla favorita.

Le classi meno abbienti, e la classe media, hanno ridisceso la scala sociale, e adesso sono in rivolta.

Gran Bretagna ed Europa: un matrimonio d’interesse

Il paradosso è che ora il fronte più acuto della rivolta contro la Ue, additata dal fronte favorevole alla Brexit come “burocrazia al servizio della oligarchia”, sia proprio quella Gran Bretagna che nella dimensione della finanza globale, e nel legame col mercato comune europeo, ha trovato gli ingredienti per un notevolissimo arricchimento.

Prima della Thatcher, la vecchia Gran Bretagna industriale era il malato d’Europa: dopo è diventata Cool Britannia.

Ma appunto, qui entrano in gioco anche fattori, che non è giusto chiamare irrazionali, ma certamente emotivi : quelli legati alla identità.

L’immigrazione, proveniente dai territori di quello che è stato lo sterminato Impero britannico, ha portato un contributo grandioso alla piccola isola del Mare del Nord : e Londra oggi è la più multietnica città del mondo.

Ma se Riccardo Cuor di Leone al tempo delle Crociate credeva fosse suo diritto sbarcare in Medio Oriente – oggi invece Nigel Farage e Boris Johnson pensano che il contrario sia inconcepibile, e che Londra debba sbarrare la strada agli immigrati siriani e non solo che si affollano ai confini della Ue : no alla redistribuzione decisa a Bruxelles insieme agli altri governi.

E anche no al welfare condiviso con gli europei trasferitisi Oltremanica. Da qui, il Referendum sulla Brexit, concesso da Cameron.

In definitiva: la Gran Bretagna, o perlomeno l’ Inghilterra, non si è mai sentita fino in fondo europea.

Nel 1973 aveva supplicato quasi l’ingresso in Europa.

Oggi invece sembra quasi un clandestino il quale abbia trovato comodo viaggiare su un transatlantico lussuoso ma solo sinché esso non ha cominciato a mostrare delle falle, per decidere quindi di abbandonarlo precipitosamente.

Non a caso, il dibattito è stato incentrato soprattutto sulla domanda : conviene economicamente la Brexit, oppure no? Chi lascia la strada vecchia per la nuova…insomma, come ha scritto Garton Ashe, che vinca il sì o il no, sarà una scelta dettata dalla paura – non dalla convinzione o dalla passione europeista.

Che cosa succederà dopo il Referendum sulla Brexit ?

In caso di vittoria dell’ipotesi Brexit, sono stati proposti diversi scenari : quello più plausibile, parte da una notevole svalutazione della sterlina rispetto all’Euro e al dollaro.

La Banca d’Inghilterra dovrebbe reagire con una politica deflazionistica, alzando il tasso d’interesse, per riportare in alto il valore della moneta (senza di che, Londra dovrebbe fronteggiare un crollo del potere d’acquisto dei salari).

Oggi nel mondo esiste una quantità incredibile di denaro, che vale quindi poco: ciò spiega i bassissimi tassi d’interessi quasi dappertutto.

La conseguenza delle mosse della Bank of England sarebbe quindi un afflusso di capitali in quel Paese, dove godrebbero di una remunerazione maggiore.

Gli altri decisori, fra i quali Draghi, difficilmente potrebbero stare a guardare, e dovrebbero quindi alzare a loro volta i tassi : invertendo letteralmente la proprio politica che cerca di creare inflazione (per costringere chi detiene capitali a spenderli e non a tenerli “fermi”).

Lo spettro della deflazione tornerebbe a farsi grande : ma soprattutto, si innescherebbe una reazione a catena, con una vera “guerra monetaria” fra le grandi economie, tese ad alzare i tassi per attirare investimenti finanziari.

O al contrario, altro scenario : l’inflazione in Inghilterra renderebbe meno vantaggiosa la politica di Draghi, e il risultato sarebbe un rafforzamento di questa politica, per creare ancor più inflazione.

La guerra monetaria consisterebbe allora nella classica gara a chi svaluta di più la propria moneta, per rendere più competitive perché meno costose le proprie merci nell’ambito degli scambi internazionali.

Il risultato di dinamiche del tipo che ho accennato, lo conosciamo : perché si verificarono negli anni Trenta, quando le guerre commerciali portarono al definivo crollo del sistema degli scambi, e quindi alla guerra guerreggiata fra i popoli.

Altri scenari sono meno drastici, è chiaro, ma è bene considerare ogni ipotesi (comprese ovviamente quelle che discendono dalla vittoria del fronte che preferisce la permanenza di Londra nella Ue : a tutt’oggi leggermente favorito dai sondaggi).

Gran Bretagna ed Europa: un rapporto strettissimo

E perciò, come Europei, oltre ai problemi cui ho accennato, dovremmo anche interrogarci, ripercorrendo il passato, sul ruolo che la Gran Bretagna ha svolto rispetto al resto del Continente.

Perché essa ha svolto un ruolo decisivo, negli ultimi secoli.

Ha rappresentato la “potenza laterale”, che ha controbilanciato i tentativi di egemonia che volevano unificarlo ed omologarlo.

Ogni volta che un potere è sorto nel cuore del Vecchio Continente, per unirlo sotto il segno dell’Impero, l’isola al di là del mare si è presentata impavida “per combattere la ciclica battaglia di Waterloo” – come scrisse Borges.

A questo ha fatto riferimento Johnson, fautore della Brexit, nel momento in cui ha detto che di nuovo il suo Paese doveva combattere quella battaglia : ma la Ue è davvero questo Impero cieco e soffocante? Non lo si può proprio migliorare, magari col contributo diretto dei sudditi di Sua Maestà ?

Dobbiamo tantissimo agli inglesi.

Da domani, qualunque sia l’esito del referendum sulla Brexit, come ho cercato di spiegare, diversi sono gli sviluppi che potrebbero presentarsi, e tutti dipenderanno dalla volontà delle persone e dei popoli : speriamo che ancora una volta dovremo ringraziare i Britannici per avere sostenuto la causa della democrazia, del progresso, e della pace in Europa : e non, per la prima volta, una causa differente.

ALESSIO ESPOSITO

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