I cittadini svizzeri si sono pronunciati a favore del phase out nucleare con il 58,2% delle preferenze. Non solo, con il voto si avvia una nuova fase della politica energetica nazionale, che punterà alla modernizzazione dell’apparato energetico nazionale, all’aumento dell’utilizzo delle rinnovabili e alla riduzione dei consumi individuali.
Il governo guarda alle rinnovabili
Gli elettori hanno votato sulla base del piano realizzato dal governo per avviare la transizione energetica, il quale prevede tre progetti principali: a) progressivo spegnimento delle cinque centrali attualmente in funzione (le quali forniscono più di un terzo dell’elettricità nazionale); b) concessione di importanti incentivi per l’investimento in fonti rinnovabili per evitare che il gap sia colmato aumentando i consumi di petrolio e gas; c) impegno a tagliare i consumi individuali del 35% rispetto al 2000, anche attraverso un utilizzo più efficiente degli impianti.
Secondo la legge governativa approvata dai cittadini, denominata Energy Strategy 2050, la prima centrale dovrebbe essere chiusa entro il 2019, mentre le altre resteranno in funzione fin quando saranno compatibili con gli standard di sicurezza. Il New York Times riporta che tramite il provvedimento gli incentivi per le rinnovabili aumenteranno a 480 milioni di franchi annui, mentre altri 450 saranno sottratti da una esistente tassa sui combustibili fossili al fine di ridurne l’uso negli edifici del 43% entro il 2035. Le modifiche alla legislazione esistente, comunque, saranno applicate a partire dal 1° gennaio 2018.
I timori del post-Fukushima
L’esito del referendum svizzero è coerente con l’atteggiamento comune che vari paesi europei nuclearisti hanno assunto negli ultimi anni, in particolar modo dopo il disastro nucleare di Fukushima. Fu proprio sulla scia di quell’evento che il governo di Berna iniziò ad elaborare il piano per l’uscita dall’atomo. Per restare fra i paesi limitrofi, la Germania ha annunciato lo scorso anno la volontà di chiudere entro il 2022, mentre l’Austria aveva già bandito la costruzione di nuovi impianti molti decenni fa, arrivando nel 1997 a votare una legge parlamentare per rimanere un paese anti-nucleare.
Ciò detto, la Svizzera ha comunque optato per l’uscita soft dal nucleare, in quanto il 27 novembre scorso era stato bocciato il referendum proposto dai Verdi che avrebbe portato ad un abbandono rapido dell’energia atomica. Se fosse passato, il provvedimento avrebbe fatto sì che tre delle cinque centrali sarebbero state chiuse entro la fine di quest’anno, oltre alla limitazione a 45 anni della durata d’esercizio degli impianti residui. In ogni caso il voto di domenica resta comunque storico, considerando anche il fatto che la Svizzera è stato il primo paese al mondo ad affidarsi al nucleare.
I problemi dell’addio al nucleare
Le problematiche a proposito dell’abbandono del nucleare riguardano prima di tutto il dibattito a proposito delle tasse aggiuntive che i cittadini dovranno sostenere nei prossimi anni. Secondo il ministro dell’energia Doris Leuthard, il surplus dovrebbe essere contenuto in 40 franchi annuali, mentre secondo il partito più grande del paese, l’Unione di Centro, i costi lieviteranno esponenzialmente, fino a toccare i 3200 franchi annui per nuclei familiari di quattro persone. Proprio l’UDC era stato l’unico partito, fra quelli principali, ad essersi esposto contro la legge e ad aver promosso la consultazione referendaria.
Altra problematica, che va di pari passo con la volontà di investire nelle rinnovabili, riguarda la loro intermittenza. Benché il problema potrebbe essere parzialmente ovviato mediante l’utilizzo delle batterie di accumulo sulle quali diverse imprese stanno investendo (fra cui Tesla, di cui abbiamo scritto nelle scorse settimane, con il sistema Powerwall), nell’immediato potrebbero esserci ulteriori incrementi dell’import di energia. Peraltro fino a qualche anno fa la Svizzera era un esportatore netto di energia, mentre negli ultimi anni e specialmente dal 2010-2011, il trend si è invertito. In particolare il paese è un esportatore netto nei mesi caldi, mentre è un importatore netto in quelli invernali.
A complicare le cose, come suggerisce il Corriere della Sera, concorre il fatto che la Svizzera potrebbe non avere enormi disponibilità di eolico e solare, mentre l’idroelettrico non sembra avere ulteriori margini di espansione. Date queste premesse, la via della transizione energetica potrebbe essere più complicata di quanto previsto dal governo.
Fabio Ravera