La coincidenza tra la campagna referendaria in Italia e le presidenziali Usa dovrebbe essere da stimolo a fare nostre alcuni dei must della comunicazione elettorale d’Oltreoceano. Sia chiaro, non tutto va bene, non tutto è replicabile in contesti tanto lontani geograficamente, culturalmente e politicamente. Ma un punto di contatto potrebbe esserci: quelle norme di buona educazione da seguire che segnano il confine tra il talk show del pomeriggio con i vip che litigano o fanno finta di litigare e i momenti di approfondimento informativo che dovrebbero aiutarci a scegliere se cambiare o non cambiare la Carta Costituzionale al referendum del prossimo 4 dicembre
In America i tempi sono regimentati. Un candidato ha tempi fissi per dare risposte alle domande del giornalista conduttore. Non esiste l’accavallarsi, non esistono il parlarsi sopra o interrompere l’altro. Come non esistono i voli pindarici che dal dibattito su referendum e Costituzione ti portano alle leggi per i disabili passando per il racconto dei grandi risultati del proprio governo. In America non si va fuori traccia. I cittadini hanno diritto di conoscere e il mezzo di informazione è uno strumento per soddisfare un diritto fondamentale funzionale alla vita democratica e alla libertà costituzionale. Lasciamo perdere la stretta di mano che è un’ americanata ipocrita, quanto quelli che cercano di scimmiottarla in Italia.
L’informazione italiana storce il naso e si domanda che senso abbiano i tempi fissi, i ruoli e i movimenti di giornalisti e candidati fissati come su un copione teatrale. Addirittura c’è chi parla di un limite alla libera dialetta democratica.
Ma quanto è ben più dannoso, soprattutto per chi ascolta da casa, assistere a talk show di approfondimento politico, in vista di un appuntamento importante come il referendum sulla Costituzione, vedendo concretizzarsi sul teleschermo tutte quelle cose che i genitori dicono ai figli di non fare: non parlare mentre parla un altro, non interrompere, non andare fuori traccia… Se in America si esagera nel rispetto rigido dei tempi e dei movimenti, il talk show politico all’italiana, che probabilmente non ha mai definito sue regole e un suo stile, sospende per tutta la durata le comuni norme della buona educazione, della cortesia tra interlocutori, del rispetto reciproco per trasformarsi in un grande caos informativo, con effetti di totale confusione per il pubblico che ascolta da casa.
Uno specchio di come avvengono le cose nel Belpaese, lo abbiamo avuto una settimana fa nella trasmissione “Politics” su Rai3, che ha visto protagonista il presidente del consiglio Matteo Renzi incalzato dalle domande dell‘ ex direttore Tg3 Bianca Berlinguer, il vicedirettore del Fatto Stefano Feltri e il direttore del Foglio Claudio Cerasa. Con un Gianluca Semprini visibilmente imbarazzato in un semplice ruolo di “passaparola” ai colleghi, i botta e risposta tra i tre giornalisti e il capo del governo sono stati un mix di provocazioni e questioni personali intrecciate con i temi del referendum costituzionale.
Si domanda di immunità e l’intervistato risponde ricordando gli interventi del governo a favore dei disabili, si va fuori tema, ci si rinfaccia questioni personali come “ti ho mai chiamato per dirti come fare il Tg”? Ma al di là di tutto questo, un qualsiasi spettatore esclamerebbe una sola cosa: lasciate finire di parlare. E’ il minimo della buona educazione ed elemento fondamentale per una comunicazione lineare, tra emittente e destinatario. Quello andato in onda una settimana fa a Politics è lo specchio di una politica e un’informazione che parlano a loro stesse e fanno finta di confrontarsi e incalzarsi tra di loro.
E in questa finta lotta, c’è una vera vittima: il telespettatore, tutti coloro che ancora hanno la Tv come unico mezzo per informarsi. Che spegne lo schermo per andare a dormire sapendone molto meno di prima. E la voragine, perché ormai di semplice disaffezione o distanza non si può parlare, tra chi sta al potere e i cittadini aumenta.