Reazioni emotive al coronavirus, ansia e psicosi: l’intervista alla psicologa

reazioni emotive al coronavirus

reazioni emotive al coronavirus

Proviamo a fare chiarezza sulle reazioni emotive al coronavirus, attraverso un’intervista alla dottoressa Margherita Sanfelice, psicologa e psicoterapeuta.

Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, tra i comportamenti più frequenti della popolazione c’è stato l’acquisto di grandi quantità di provviste. Si è trattato di un fenomeno non solo italiano, ma che ha riguardato anche Paesi come Germania, UK e USA. Come spiega questa risposta da parte delle persone? Dal punto di vista clinico, è corretto parlare di psicosi?

Non parlerei di psicosi, ma di un’improvvisa sensazione di paura che porta a lottare istintivamente per la propria vita, non pensando razionalmente. Come sappiamo, la paura è un’emozione potente ed utile.  È stata selezionata dall’evoluzione della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed evitarli. Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze dirette. Infatti, ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e spesso distorti dai messaggi che circolano in rete.

Da gennaio si parla di una malattia ignota e senza cura. Ci hanno mostrato città deserte, parlandoci dei problemi dei cittadini cinesi a fare la spesa, dato che non potevano uscire di casa. Ci hanno mostrato le immagini degli assalti ai supermercati, via tv o social network. Quando il Covid-19 è arrivato da noi, sono state comunicate misure eccezionali. Ad esempio, evitare luoghi affollati, restare a casa, la quarantena per i contagiati e la chiusura dei luoghi pubblici. Per questo, non possiamo definire l’assalto ai supermercati psicosi. Si tratta di una reazione che ha la sua razionalità, scaturita dalle informazioni ricevute.




Si sono verificati dei fenomeni di razzismo che hanno colpito prima la popolazione cinese e poi quella italiana. In che misura la ricerca di un “untore” ben riconoscibile in cui identificare un capro espiatorio può mitigare la paura nei confronti di un “nemico” altrimenti non individuabile?

Tutta la paura e l’angoscia vengono proiettate su un individuo o gruppo, che viene identificato come colpevole. Così il nemico inizialmente fu il cinese poi per il resto del mondo noi italiani. Si identifica una popolazione presa a oggetto come capro espiatorio su cui collocare tutta la paura e l’angoscia che non riusciamo a contenere.

Elias Canetti, premio nobel per la letteratura, nel 1981 scriveva: “Nulla l’uomo teme di più di essere toccato dall’ignoto. Vogliamo vedere ciò ciò che si protende dietro di noi: vogliamo conoscerlo o almeno classificarlo“.

Al polo opposto, in termini di reazioni emotive al coronavirus, c’è chi minimizza l’emergenza. Tra questi, anche alcuni personaggi pubblici, come il giocatore NBA Rudy Gobert e Carla Bruni. Da quali emozioni nascono questo tipo di reazioni, che portano a sminuire la realtà dei fatti?

Nel caso dell’epidemia da coronavirus, la minaccia della paura non è localizzabile in un oggetto o stimolo doloroso. Infatti, sfugge ad ogni tentativo di razionalizzazione. Facciamo un esempio: il coronavirus non è un serial killer, non è una truppa di soldati pronti a combatterti. Si tratta di un nemico invisibile. Ciò ci rende tutti inermi e fragili. Di fronte a questo possiamo reagire in vari modi, classificabili sommariamente in tre grandi categorie.

  1. C’è chi si esprime con comportamenti di anaffettività e di disinteresse per sé e per gli altri. Questo è un meccanismo di difesa che porta l’individuo ad annullare il problema.
  2. C’è chi si fa prendere dal panico e mette in atto dei comportamenti irrazionali. Tra questi, c’è il  prendere d’assalto i pronto soccorso anche per una lieve tosse o alterazione della temperatura, pur sapendo che gli ospedali sono il luogo di maggior contagio. Oppure, indossare mascherine e guanti anche quando non è necessario.
  3. Infine, c’è chi assume un atteggiamento di attenzione e di attesa, senza cadere in angoscia o in comportamenti irrispettosi. Fortunatamente, la maggior parte delle persone attua questo comportamento.

Per la nostra generazione, la quarantena è uno scenario del tutto inedito. Quali sono gli effetti dell’isolamento forzato? Come fare a gestire le emozioni negative?

La quarantena può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere psicologico dei cittadini. A certificarlo è una review pubblicata sulla rivista The Lancet. Le conseguenze dei drastici cambiamenti nello stile di vita e nella libertà individuale che sono connessi alle restrizioni possono portare ad uno stato confusionale, di incertezza e sgomento. Nei casi più gravi, si può arrivare a sentimenti depressivi o ansiosi. Per gestire le emozioni negative non dobbiamo isolarci.

Al contrario, bisogna utilizzare delle forme consentite per comunicare, come telefonate, social network, videochiamate. Dovremmo anche rimanere attivi con dello sport da svolgere in casa, o allenare la mente leggendo. Infine, dovremmo cercare di rispettare la routine giornaliera. In questo modo, riusciremmo a mantenere il ritmo-sonno veglia. Se nonostante questo sono presenti dei segnali di disturbi depressivi o ansiosi, è consigliabile contattare uno psicoterapeuta.

L’informazione e i social network influiscono sulla percezione emotiva del singolo? Se sì, come si può tutelare la capacità di comprensione sul piano razionale all’interno del caos mediatico?

È stato chiamato infodemia l’eccesso di notizie che si apprendono guardando la tv, leggendo i giornali e andando in rete. In questi luoghi si viene sommersi da una miriade di informazioni sul coronavirus. Sul web chiunque può pubblicare notizie, pensieri ed esperienze personali. Spesso si tratta di contenuti frammentati e raramente verificabili. In questo particolare periodo storico, siamo sommersi da fake news. Questo non aiuta a mantenere la calma. Consiglio, per non farsi travolgere dall’ansia, di attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo, e seguire due buone strade.

  1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni sul coronavirus.
  2. Basarsi solo su fonti informative ufficiali, aggiornate ed accreditate.

Qual è il ruolo dello psicologo in questa emergenza?

Il ruolo dello psicologo è quello di fare in modo che una “sana paura” non diventi panico. Per questo, deve intervenire sulla gestione delle reazioni emotive al coronavirus.

Vorrei concludere riportando una frase di Ilaria Paluzzi, autrice e giornalista. Parlando del libro dello scrittore Saramago Cecità, dice: “Niente è davvero perduto se conserviamo la sensibilità“.

Laura Bellucci

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