La nuova proposta di legge di FdI, che prevede l’abrogazione del reato di tortura, ha riacceso i riflettori su un tema da sempre dibattuto in Italia
Ad oggi, la tortura è considerata reato dalla Convenzione per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950); e dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, firmata da 47 Stati europei (1987).
Nel Codice Penale italiano, è disciplinato dagli articoli 613 bis e 613 ter.
In particolare, si configura il reato quando:
Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa
Per i pubblici ufficiali, la pena va dai 5 ai 12 anni di tortura, con possibili aggravanti.
In caso di morte della vittima, la condanna può prevedere persino l’ergastolo.
Anche l’istigazione è reato, secondo l’articolo 613. Un pubblico ufficiale accusato di aver incitato un altro ufficiale a praticare una tortura, infatti, può essere punito con la reclusione da 6 mesi a tre anni.
Il reato di tortura in Italia: un iter di ritardi e discrepanze
Il reato di tortura è stato introdotto nel Codice Penale del nostro Paese solo nel 2017, dopo ben 30 anni dalla firma della Convenzione ONU. Questo, per di più, solo dopo ripetute pressioni internazionali e petizioni civili.
I primi dibattiti sono nati nel 2001, dopo gli episodi di violenza perpetrati dalle forze dell’ordine in occasione del G8 di Genova.
Negli anni successivi, i casi di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi hanno riacceso il dibattito sulla mancanza di una normativa efficace in Italia.
Nel 2015, la Corte di Strasburgo si è rivolta all’Italia condannando la mancata capacità dello Stato italiano di perseguire e punire i responsabili dei fatti avvenuti alla scuola Pertini-Diaz.
Dopo diversi anni, nel 2017, si è giunti alla stesura di una legge.
Una legge che, tuttavia, ancora oggi non convince gli organi sovranazionali e internazionali.
A sollevare dubbi, sono soprattutto: la reiterazione delle condotte, l’ambigua nozione di crudeltà, il verificabile trauma psichico e l’assordante silenzio circa la prescrittibilità dell’atto criminoso.
Mentre la Convenzione ONU non specifica alcun tipo di condotta, la norma italiana prevede che la tortura venga inflitta con “violenza, minacce gravi o crudeltà“.
Inoltre, la vittima deve riportare “acute sofferenze fisiche o un verificabile danno psichico” perché si possa parlare di tortura. Il rischio è, quindi, che il reato sia facilmente aggirabile.
A preoccupare i giudici europei è anche il tema della prescrittibilità del reato.
Secondo l’interpretazione del Comitato ONU, la perseguibilità del crimine non può, e non deve essere soggetta ad alcun tipo di limitazione temporale.
Tuttavia, i legislatori italiani hanno rifiutato di modificare la legge in quanto la Convenzione “non contiene espressamente l’imprescrittibilità del reato di tortura”.
Un altro punto sul quale la Corte di Strasburgo si è interrogata è quello secondo il quale i colpevoli di tali azioni devono essere identificati tra gli organi dello Stato.
Nell’ordinamento italiano, invece, la tortura è considerata un reato comune, pertanto non imputabile ai pubblici ufficiali.
Per questo motivo, si è successivamente deciso di aggravare la pena prevista nel caso in cui il responsabile fosse un incaricato di pubblico servizio.
A causa di queste discrepanze, l’Italia è stata più volte invitata dal Comitato ONU a modificare la propria legge, perché non conforme alle disposizioni ONU.
Tuttavia, ciò non è mai stato fatto.
La proposta di FdI: diritti umani a rischio?
La proposta di Fratelli d’Italia, appoggiata dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, prevede l’abrogazione della legge sul reato di tortura.
Secondo i firmatari, prima fra tutti, la deputata Imma Vietri, l’abrogazione della legge è necessaria perché le Forze dell’ordine possano svolgere al meglio il proprio lavoro.
Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, potrebbero finire nelle maglie del reato comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata.
Il rischio di subire denunce e processi strumentali potrebbe, inoltre, disincentivare e demotivare l’azione delle Forze dell’ordine, privando i soggetti preposti all’applicazione della legge dello slancio necessario per portare avanti al meglio il loro lavoro, con conseguente arretramento dell’attività di prevenzione e repressione dei reati e uno scoraggiamento generalizzato dell’iniziativa delle Forze dell’ordine.
Di tale parere era la stessa Giorgia Meloni che, nel 2018, accese le polemiche pubblicando un tweet a favore dell’abrogazione del reato (cancellato poco dopo).
Difendiamo chi ci difende: abbiamo presentato due proposte di legge per aumentare le pene a chi aggredisce un pubblico ufficiale e per abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro
La proposta di legge, arrivata poche ore dopo la sospensione di 23 agenti del carcere di Biella accusati di tortura nei confronti di tre detenuti, ha subito allarmato i difensori dei diritti umani.
A intervenire per l’associazione Articolo21 è Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International Italia.
In questi giorni abbiamo di nuovo sentito dire che, in fondo, non c’è bisogno di un reato di tortura: perché quella che viene chiamata così dalla legge del 2017 non è proprio tortura o, più semplicemente, perché in Italia non ci sono casi di tortura. Affermazioni, entrambe, false.Negli ultimi sei anni ci sono state varie condanne per il reato di tortura, molte indagini sono in corso per ipotesi di torture nelle carceri.A chi propone di abrogare il reato di tortura, dovremmo ricordare che l’Italia è stata spinta a introdurlo da ben quattro sentenze della Corte europea dei diritti umani che avevano condannato il nostro Paese esattamente per l’assenza di tale norma.Sarebbe meglio se chi propone l’abolizione del reato di tortura fosse sincero: l’obiettivo è il ritorno dell’impunità
Anche nell’opposizione si sono sollevate molte voci.
Una fra tutte è quella di Ilaria Cucchi, senatrice di Sinistra Italiana-Alleanza Verde e sorella di Stefano Cucchi.
Sostenere che la tortura in Italia non esista è una bugia. Far finta di niente e voltarsi dall’altra parte è già questa una violazione dei diritti umani e lo so perché l’ho provata sulla mia pelle.
Abbiamo lottato per la sua introduzione e ora rivolgo un appello a tutte le forze politiche soprattutto al presidente della Repubblica: giù le mani dalla legge che punisce la tortura. Chi ha paura del reato di tortura legittima la tortura
Critiche simili giungono anche dal Pd e dal M5S, che parlano di “mettere in dubbio una norma di civiltà” e di “attaccare una norma in difesa dei diritti umani“.
Secondo la parlamentare del Pd, Rachele Scarpa, la decisione di abrogare il reato di tortura significa “legittimare eventuali violenze di Stato“, ed è paragonabile al modello politico del dittatore cileno Pinochet.
Dal canto loro, i firmatari della legge sostengono di non voler abrogare il reato, ma solo di “tipizzarlo“.
Non vi è volontà da parte di FdI di abrogare il reato di tortura, ma di tipizzarlo in modo molto nitido, così com’è nelle convenzioni internazionali.
Inoltre, è attuale il rischio che le Forze dell’ordine debbano guardarsi loro dai delinquenti. Le stesse vanno invece rispettate e messe in condizione di fare il proprio lavoro. Questo non significa riservare immunità alcuna a chi dovesse sbagliare
Per il momento, la proposta di legge non è ancora stata discussa, e nemmeno calendarizzata.
Ma il governo starebbe pensando a un provvedimento che riveda l’intera materia, comprendendo anche i crimini internazionali.
Giulia Calvani