Il Governo ha approvato il ddl sui reati contro il patrimonio culturale. Ora si attende il sì definitivo del Parlamento
“Abbiamo raddoppiato le pene e previsto la fattispecie del furto di bene culturale che è diverso dal semplice furto. Inoltre siamo intervenuti sul danneggiamento dei beni, l’imbrattamento e il deturpamento e sulla contraffazione di opere d’arte e il riciclaggio”, queste le parole del ministro ai Beni Culturali Dario Franceschini, che ha poi ribadito che con questo giro di vite il primato internazionale sarebbe tutto nostro.
Il ddl delega sui reati contro il patrimonio culturale, fresco di approvazione al governo e annunciato dallo stesso Franceschini da Pompei, rappresenta una vera e propria stretta che dovrebbe arginare – se non porre fine, almeno ci si augura – un problema che rischia di non essere più percepito come tale, tanta è l’assuefazione. Si attende ora il varo definitivo del Parlamento, e vediamo che succede.
In cosa consiste questo giro di vite? Non solo l’inasprimento delle pene per i reati già enunciati, anche il possesso ingiustificato di un metal detector o di altro materiale ascrivibile alla strumentazione “tipica” dei tombaroli è soggetto a sanzione. Il ddl, che porta la firma dello stesso ministro e del ministro della Giustizia Andrea Orlando, ancora prima dell’approvazione definitiva, sembra porre l’Italia come modello all’avanguardia nel panorama internazionale.
E certo, al di là di ogni primato, il rientro delle diciassette tele trafugate nel novembre del 2015 a Castelvecchio dimostrano che la misura è colma. La cultura italiana è fin troppo martoriata dalla selvaggia speculazione ai danni del bello artistico. Si tratta, stando a quanto emerge da Follow the paintings, documentario realizzato da tre esordienti e in gara ai Dig Awards (premio internazionale del giornalismo d’inchiesta), di un mercato da 58 miliardi di euro. Terreno fertile per la più spietata delle speculazioni. Basta creare il giusto blasone, per gonfiare di molto il valore di una tela. Ed è forse questa, una delle chiavi di lettura di quest’avanguardia tutta italiana.
Il Parlamento deve dare il via libera definitivo a qualcosa che è stata creata perché ne abbiamo bisogno, come l’acqua per un assetato. Perché abbiamo il bello artistico, che sappiamo imbruttire. Trafugare, danneggiare o imbrattare. Abbiamo il bello che non valorizziamo. Abbiamo oltre cinquemila musei che non visitiamo, 47 siti Unesco, teatri, scavi archeologici. Ne abbiamo di ricchezze. Ma a noi, italiani medi, ci hanno educati ai tribunali da salotto televisivo. Conosciamo Avetrana e Garlasco a menadito, ma il museo a pochi chilometri da casa nostra chi lo ha mai visto. Quel che è peggio è che non siamo solo ignoranti, siamo anche vandali. Nella sola Roma, tanto per concretizzare esempi, nel 2004 viene staccata la testa marmorea di un’ape dalla fontana del Bernini in Via Veneto. Un anno dopo, tocca alla fontana della Navicella, opera del Sansovino brutalmente presa a martellate e privata della prua con una testa a forma di muso di cinghiale. Due anni dopo, Fontana della Barcaccia. Lo stemma papale viene quasi interamente rimosso da colpi di cacciavite, inferti da stranieri ubriachi. 2007, Fontana di Trevi: Cecchini rilascia del liquido rosso che tinge le acque del più celebre monumento di Roma. Azione futurista, l’hanno voluta definire. Personalmente, reputo più futurista una pallina che percorre la scalinata di Trinità dei Monti, che un’azione di inquinamento vero e proprio.
Una domanda alquanto retorica si fa strada: qualcuno degli autori di queste inciviltà ha mai pagato? e in che misura? E’ indubbio, ci hanno lasciato un patrimonio del bello che non ha eguali. Ora, qualcuno ci educhi.
Alessandra Maria