RD Congo: precipita la situazione in Nord Kivu

Precipita la situazione in Nord Kivu, nella RD Congo, a causa dei recenti scontri armati provocati da gruppi di ribelli. Per Medici Senza Frontiere è necessaria una risposta urgente delle autorità internazionali alla crisi umanitaria in corso nel Paese. L’instabilità delle ultime settimane ha già provocato 600mila sfollati costretti a vivere senza cibo e acqua.

Precipita la situazione in Nord Kivu e la RD Congo sprofonda ancora di più nel caos. Le violenze e gli scontri armati tra gruppi di ribelli, che hanno ripreso a combattersi nelle provincie del nord e dell’est del paese, rischiano di portare l’endemica crisi umanitaria dello stato centrafricano verso un punto di non ritorno.

A lanciare l’allarme  sono le équipes di Medici senza Frontiere (MSF) che hanno riscontrato tassi allarmanti di malnutrizione e mortalità in alcuni campi profughi del paese. 
A Rusayo, dove la popolazione è stimata tra gli 85.000 e i 100.000 abitanti, in soli quattro mesi (da gennaio ad aprile) sono morti in media più di tre bambini al giorno, mentre si moltiplicano tragicamente gli episodi di violenza sessuale con una media di  40 donne al giorno vittime di abusi.

Le nuove ondate di attacchi mortali contro  la popolazione da parte di gruppi armati nelle provincie del Nord Kivu, hanno spinto il Centro per civili in conflitto (Civic) a fare nuovamente appello alla comunità internazionale, affinché fornisca aiuti immediati e adeguati in grado di rafforzare la protezione dei civili nelle zone maggiormente interessate dagli scontri.

I numeri terrificanti della crisi umanitaria in RD Congo

Un’indagine sulla mortalità condotta ad aprile da Medici Senza Frontiere, nei campi di Rusayo, Shabindu e Don Bosco, e relativa al primo quadrimestre del 2023, ha rivelato tassi di mortalità allarmanti tra i bambini sotto i cinque anni. Negli ultimi mesi, la brutalità contro la popolazione civile nella RD Congo ha raggiunto livelli senza precedenti. Soltanto nel più recente attacco dell’11 giugno a un sito di sfollamento nella provincia dell’Ituri nel Congo nord-orientale, sono state uccise più di 45 persone. Metà delle vittime erano bambini.


Dall’inizio del 2023, il moltiplicarsi di attacchi armati contro i civili ha costretto quasi 1 milione di persone a fuggire in cerca di riparo. Sfortunatamente, questo esodo è coinciso con l’imminente transizione e il ritiro della Missione delle Nazioni Unite Monusco, rendendo ulteriormente complicate le operazioni di soccorso umanitario verso i civili sfollati.  precipita la situazione in Nord Kivu

Un’altra indagine nutrizionale condotta sempre da MSF alla fine di maggio nel campo di Elohim, vicino Kinshasa, su circa 4.000 persone,  ha rivelato tassi di malnutrizione ben al di sopra delle soglie di emergenza.  Secondo il rapporto, la percentuale di bambini sotto i cinque anni che ha sviluppato gravi forme di malnutrizione è del 4,9%.  A Elohim, soltanto nel mese di maggio, i volontari di Msf hanno curato per malnutrizione un bambino su quattro. 

Il governo congolese invoca il supporto della Corte Penale Internazionale contro i crimini di guerra

L’aumento della violenza e degli abusi nella provincia orientale del Nord Kivu ha spinto il governo di Kinshasa ha invocare il supporto della Corte Penale  Internazionale (CPI). La RD Congo chiede alla CPI di vigilare sempre più intensivamente per garantire la difesa dei diritti umani, perseguendo i gruppi armati che quotidianamente si macchiano di orribili crimini di guerra.

In passato le autorità congolesi avevano già chiesto alla CPI di aprire un’indagine sui crimini di guerra in corso nelle provincie nord-orientali. Nel 2004,  la CPI era intervenuta su sollecitazione diretta del governo di Kinshasa per indagare sui crimini commessi dai gruppi di ribelli a partire dal 2002, portando alla condanna di tre leader  coinvolti nel lungo conflitto armato nella nazione mineraria.

In Congo orientale il conflitto cova da decenni  e sul campo di guerra si combattono più di 120 gruppi armati. In questi mesi, in Nord Kivu la situazione è precipitata a causa delle insurrezioni del gruppo di ribelli M23 (Mouvement du 23 mars), noto anche come Esercito rivoluzionario congolese.

L’M23 è salito alla ribalta nel periodo 2012-2013, quando si è ribellato al governo centrale causando lo sfollamento di migliaia di persone. Il 20 novembre 2012, il gruppo di ribelli era riuscito a prendere il controllo di Goma, un capoluogo di provincia con una popolazione di un milione di persone, commettendo violenze sulla popolazione civile. Soltanto alla fine del 2012, le truppe congolesi, insieme alle truppe delle Nazioni Unite, erano riuscite a riprendere il controllo del capoluogo, e l’M23 aveva annunciato un cessate il fuoco manifestando la volontà di iniziare dei colloqui di pace.

La “maledetta” ricchezza del Congo dietro ai conflitti tra gruppi di ribelli

Alla fine del 2021 i combattimenti in nord Kivu si sono intensificati nuovamente  quando l’M23, che era rimasto dormiente per quasi un decennio, è riemerso e ha iniziato a conquistare territorio. L’oggetto del desiderio del gruppo armato sono le famose terre rare nascoste nel sottosuolo congolese e indispensabili per attuare la tanto attesa transizione energetica. Lo stato centrafricano vanta, infatti, le maggiori riserve di cobalto e coltan del pianeta, rispettivamente nel Lualaba e nel Kivu Nord-orientale.

Ma la nuova corsa all’oro ha scatenato anche le mire dei paesi vicini, soprattutto del Ruanda accusato dal governo di Kinshasa di essere la mano dietro al Movimento M23 che sta terrorizzando le province orientali del Kivu. L’obiettivo dei ribelli, armati dai ruandesi,  è quello di prendere il controllo totale delle miniere presenti nella regione, già quasi tutte occupate.

Lo schema è sempre lo stesso: dopo aver reso il controllo di una provincia, i miliziani schiavizzano la popolazione costringendola a lavorare nelle miniere, soprattutto i bambini. In queste aree del Nord-Kivu la mancanza di cibo, acqua e medicinali si ripercuote sulla salute di tutti (adulti e bambini) ma soprattutto delle donne, che spesso sono costrette a lasciare i campi per cercare cibo o legna da ardere, esponendosi al rischio di violenza, in particolare sessuale.

La crisi umanitaria in corso in RDC richiede misure d’intervento straordinarie

Nonostante nelle ultime settimane ci sia stato un cospicuo aumento degli aiuti umanitari da parte della comunità internazionale, le circa 600mila persone che attualmente vivono in diversi siti intorno a Goma continuano a non ricevere un’assistenza adeguata, in particolare per quanto riguarda il cibo, l’acqua e gli alloggi che rimangono insufficienti per qualità e quantità. Ma la situazione umanitaria resta critica anche in altre aree del Nord-Kivu, come i territori di Lubero, Masisi e Rutshuru, dove MSF è spesso l’unica organizzazione presente sul posto.

Ad oggi, le attuali condizioni all’interno e all’esterno dei campi profughi non riescono a garantire la sicurezza dei civili, come testimoniano le tristi vicende  dei campi di Rusayo e Shabindu, dove il cibo non viene distribuito a tutti i residenti, a causa della mancanza di scorte adeguate. Inoltre, la situazione, già di per sé allarmante, è aggravata ulteriormente da diversi fattori di rischio, come i casi di morbillo e colera che imperversano tra gli ospiti dei campi.

Durante i primi mesi del 2022, la risposta umanitaria è stata troppo lenta ad avviarsi. Da allora MSF è stata una delle poche organizzazioni che ha continuato ad attuare interventi a sostegno della popolazione, arrivando a mobilitare un ulteriore milione di euro per fornire cibo terapeutico alle famiglie più vulnerabili, in particolare a quelle con bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione acuta.

Tommaso Di Caprio

 

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