“Fino a quando continueranno ad ammazzarci?”
È il grido di dolore di una donna nera, davanti alla sede della Polícia Rodoviária Federal (PRF). È afflitta, lei, come un’intera comunità, dal pugnale perennemente insanguinato del razzismo in Brasile. Fino a quando le urla disperate dell’aberrante sofferenza rimarranno inascoltate?
Fumo bianco esce dai bordi di un’auto della polizia. È gas lacrimogeno. All’interno qualcuno tenta disperatamente di divincolarsi, se ne sentono le urla, poi, improvvisamente, il silenzio. Così muore Genivaldo de Jesus Santos, legato per mani e piedi da agenti della PRF, soffocato dalle mani della polizia, asfissiato nei fatti, dal razzismo in Brasile. Aveva 38 anni e stava circolando in moto senza casco quando è stato detenuto in strada. La sua pelle nera, a Umbaúba, ha significato una definitiva e agghiacciante condanna. Al termine delle torture, l’ospedale non ha potuto che accertare il decesso per insufficienza respiratoria. È questo che accade continuamente ai neri del Brasile: gli viene tolta l’aria.
Perché senza respiro non c’è persona, è preludio alla disumanizzazione.
Si sommano le sentenze giudiziarie che raccontano di casi simili per cui le forze di polizia esercitano inaudita violenza attraverso spray e gas. Ma la discriminatoria privazione d’aria è compiuta anche attraverso percosse fisiche e massacranti sparatorie. La lista degli abusi compiuti sulla base di un evidente razzismo è un catalogo struggente e incessante.
Due anni fa João Alberto Silveira Freitas fu picchiato a morte da due guardie di sicurezza di un supermercato a Porto Alegre. 40 anni, nero, non riusciva a respirare ma quella urlata fattualità non fermò i vigilanti.
“La carne più economica sul mercato è nera” cantò allora Elza Soares come slogan di protesta per quanto di atroce accadde.
Nel 2018 Marielle Franco, politica e attivista, fu vittima di un’esecuzione a tutti gli effetti, eseguita tra gli altri, dall’ex capitano della polizia militare e l’ex maggiore delle forze speciali.
Lo scorso 24 Maggio, 25 giovani sono morti nella favela di Vila Cruzeiro, trucidati durante un operativo di polizia. Le 12 ore di raid mirate a catturare alcuni esponenti del Cartello dominante nella capitale carioca sono scaturite nella strage, tanto per le modalità quanto per il risultato. Un’ ecatombe, che richiama il ricordo di un passato recente: nel 2021 si consumò nella stessa nefandezza il massacro di Jacarezinho.
Raffiche di colpi, uomini feriti e pugnalati, persino alle spalle, persino in casa. Corpi sparsi per i vicoli, umilianti abusi di potere ed esecuzioni sommarie. Nel gomitolo di una veemenza incontrollabile si distingue chiaramente un unico fattore: le vittime sono tutte povere e dalla pelle nera.
Il razzismo in Brasile è strutturale
Oggi come allora, il presidente del Brasile Bolsonaro sostiene l’operato criminale della polizia. Non è solo un via libera, ma nei fatti, una spinta alla prosecuzione degli omicidi. La discriminazione razziale è politica, eppure nessun paese fuori dall’Africa ha più abitanti di origine africana quanto il Brasile.
Tutti convivono con un concetto di razza accettato all’interno delle scienze sociali. La popolazione può classificarsi, sulla base delle autodichiarazioni, in: Branca (bianca), Preta (nera), Parda (di discendenza e caratteristiche fisiche miste), Amarela (gialla), Indígena. I negros sono l’insieme composto da neri e pardos. Questi ultimi, sono sovra-rappresentati da qualsiasi dato relativo a varie forme di sopruso.
È un razzismo strutturale in quanto intrinseco a tutte le sfere della società, lo indicano le alte percentuali dei neri sotto la soglia di povertà, la scarsa attenzione riservata alla salute delle donne nere, e ancora, persino le possibilità per un bambino nero di morire rispetto a un bambino bianco. ( il 22,5% in più).
Sospesa, a tagliare aria e anime, resta una domanda che è anche preghiera:
“Fino a quando continueranno ad ammazzarci?”
Giorgia Zazzeroni