RAWA è tra le più antiche associazioni di donne afghane che da anni si batte per un’ Afghanistan libero e democratico e per il rispetto dei diritti delle donne.
In queste settimane in cui il dimenticato Afghanistan è ritornato improvvisamente su tutti gli schermi e le testate, c’è stato un argomento che ha particolarmente coinvolto l’opinione pubblica. La condizione delle donne afghane, come già vent’anni fa, viene sbandierata e strumentalizzata a destra e a sinistra. Tutti e tutte d’accordo nello sbraitare che bisogna aiutare, anzi salvare, queste “povere donne afghane”, nella più compiuta sintesi tra white saviorism e retorica neo-colonialista e patriarcale. Senza contare una buona dose di islamofobia che fa di queste donne le vittime perfette, sottomesse ad una religione che per gli occidentali è sempre violenta e sempre oscurantista. Il punto, evidentemente, non è che non bisogna fare qualcosa per aiutare le donne afghane. Né tanto meno minimizzare la portata della catastrofe che si sta consumando in questi giorni.
Ma la narrazione bidimensionale e stereotipica delle vittime da salvare non è più sostenibile. In Afghanistan, così come in qualsiasi altra parte del mondo, le donne sono più che capaci di organizzarsi autonomamente, di difendere sé stesse e la comunità e di far nascere spazi di resistenza e creatività. Come fanno le donne di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), che dal 1977 si battono per la pace, la libertà e i diritti delle donne in Afghanistan.
La nascita di RAWA
RAWA nasce a Kabul come associazione politica e sociale indipendente per rivendicare giustizia sociale e difendere i diritti umani, grazie a un gruppo di donne afghane tra cui Meena Keshwar Kamal. All’inizio l’associazione era strutturata in piccoli gruppi clandestini per garantire la sicurezza delle attiviste. In questi gruppi erano presenti anche donne delle minoranze tagika e hazara: in questo modo RAWA puntava a sorpassare le discriminazioni etniche e le divisioni tribali. Tra gli obbiettivi perseguiti c’erano il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, il diritto all’istruzione, alla difesa legale, alle cure mediche, la lotta contro la violenza.
L’invasione sovietica
Sotto la guida di Meena le donne si mobilitano con campagne rivolte al governo e azioni nelle università. Dopo l’occupazione sovietica nel 1979 RAWA diventa parte della resistenza afghana e lotta per il raggiungimento di un’alternativa democratica e laica. Nel 1981 viene fondata la rivista bilingue Payam-e-Zan (il messaggio delle donne) che cerca di creare consapevolezza sulla condizione delle donne e sulla violenza del fondamentalismo islamico. La denuncia delle attiviste non risparmia né gli occupanti stranieri né i talebani, considerati entrambi nemici di quell’Afghanistan libero e democratico che cercano di costruire. L’azione di RAWA si estende anche in Pakistan dove le attiviste aiutano i rifugiati costruendo ospedali, scuole e organizzando corsi di formazione professionale e di alfabetizzazione per le donne.
Proprio in Pakistan, a Quetta, Meena Keshwar Kamal verrà rapita e assassinata nel 1987 a soli trent’anni.
Nonostante la condanna a morte del suo interprete Ahmed Sultan e di suo cugino nel 2002, i mandanti dell’omicidio rimangono sconosciuti ancora oggi. I principali sospettati rimangono gli agenti del KHAD, un’agenzia di intelligence afghana utilizzata anche come polizia segreta durante l’occupazione sovietica. Nel frattempo attiviste e collaboratori di RAWA hanno continuato a subire minacce, maltrattamenti, rapimenti e attacchi sia da parte dei servizi segreti pakistani che dai talebani.
L’ occupazione USA in Afghanistan
A partire dagli anni ’90, RAWA non ha mai smesso di denunciare la brutalità dei talebani e la loro natura profondamente misogina. La “guerra al terrorismo” scatenata dagli USA ha cacciato i talebani ma non ha minimamente estirpato i germi del fondamentalismo, né contribuito a creare basi solide per un’alternativa democratica. Le attiviste di RAWA sono la dimostrazione (per chi ancora ne avesse bisogno) che la democrazia non si può esportare. Le persone sul territorio stanno combattendo e rischiando la vita per realizzarla ogni giorno. Oltre ad opporsi al fondamentalismo talebano, RAWA ha anche denunciato le responsabilità degli Stati Uniti e dell’Europa nella situazione in Afghanistan. In particolare nell’aver finanziato e legittimato regimi misogini e colpevoli di aver ignorato e calpestato i diritti delle donne.
L’occupazione USA ha reso l’Afghanistan un paese più corrotto e più pericoloso, soprattutto per le donne. «Questa occupazione ha portato solo spargimento di sangue, distruzione e caos», spiega RAWA in un’intervista a Sonali Kolhatkar dell’associazione statunitense Afghan Women’s Mission. Il ritorno dei talebani era assolutamente prevedibile.
«Il Pentagono dimostra che nessuna invasione o ingerenza finisce in condizioni di sicurezza. Tutte le potenze imperialiste invadono altri Paesi per i loro interessi strategici, politici e finanziari. È grazie a menzogne e potenti mezzi di comunicazione che occultano le reali ragioni e la loro agenda».
Il ritorno dei talebani
Le attiviste di RAWA non credono minimamente ai proclami di maggiore tolleranza e apertura fatti dai talebani in questi giorni. La loro ideologia è la stessa di vent’anni fa e il loro regime sarà altrettanto brutale e repressivo, in particolare contro le donne.
«I talebani sostengono di non essere contro i diritti delle donne, ma che questi dovrebbero rimanere all’interno della cornice della legge islamica, la sharia. Ma la sharia è vaga e i regimi islamici la interpretano in modi diversi, piegandola a vantaggio delle proprie agende politiche e delle proprie leggi».
Con le sue attività RAWA ha dato supporto a migliaia di donne e bambini occupandosi dei loro bisogni primari e mettendoli in sicurezza. Ma anche e soprattutto coinvolgendoli in progetti educativi, promuovendo la partecipazione sociale e i diritti umani. L’azione di RAWA punta molto sull’educazione e sulla costruzione di scuole.
«La conoscenza è un enorme potere e aumenterà la consapevolezza delle donne sui propri diritti, sul proprio ruolo nella società, sui problemi politici del paese».
È proprio questa consapevolezza che spinge le donne di RAWA a continuare le loro battaglie, anche ora che tutto sembra perduto. Quello che più temono è che l’Afghanistan scivolerà presto lontano dai riflettori, mentre ora più che mai la popolazione ha bisogno del sostegno internazionale. Ma le donne di RAWA hanno dimostrato in più di quarant’anni della loro storia di essere determinate a combattere per proteggere sé stesse e la loro libertà.
«Alzeremo la nostra voce più forte e continueremo la nostra resistenza e la lotta per una democrazia laica e i diritti delle donne».
Giulia Della Michelina