Con il diffondersi di una maggiore sensibilità verso l’inclusività è anche cresciuta la tendenza a promuovere – soprattutto in film e serie TV – la rappresentazione di diverse etnie, generi e orientamenti sessuali. Qualcuno addita il “politicamente corretto”, ma l’importanza di offrire rappresentazioni attuali e sfaccettate va ben oltre.
Se da una parte è innegabile che in nome dell’inclusività si siano prese decisione discutibili o comunque oggetto di dibattito – come, ad esempio, le nuove regole per gli Oscar, in vigore dal 2024 – le ragioni per cui è corretto proporre una rappresentazione “non proporzionale” nei media non si limitano al politicamente corretto.
Proporzionale rispetto a cosa?
Uno dei commenti più frequenti davanti all’inclusività nelle narrazioni è che ormai in ogni show deve esserci la rappresentazione di diverse categorie, nonostante queste siano, statisticamente parlando, una minoranza all’interno della società.
Questo commento rivela una visione che vorrebbe una sorta di “rappresentazione proporzionale”; se nella società si hanno tot persone di un tipo e di un altro, allora nei media bisogna riproporle nello stesso rapporto numerico.
Tuttavia, si tratta di una visione molto limitata; tradisce infatti una certa chiusura mentale e una certa forma mentis che non sembra disposta ad accettare la molteplicità e la complessità della società e dei suoi componenti.
Perché è giusto che la rappresentazione sia non proporzionale
Il mondo dei media funziona tramite storytelling: si guardano serie e film perché raccontano una storia. Per raccontare una storia è necessario presentarne i personaggi e l’insieme di questi personaggi riflette quello che la società conosce; ciò che ama e ciò che teme, ciò che reputa giusto e ciò che reputa sbagliato. È grazie a questa categorizzazione di informazioni che possiamo distinguere l’eroe, il villain e l’antieroe.
Anzitutto, vedere personaggi simili a se stessi, in cui rispecchiarsi, o che sfoggiano caratteristiche che lo spettatore condivide, aiuta lo spettatore a sentirsi accettato.
Dall’altra parte, ogni spettatore può così avere una visione della molteplicità della società; osservando ed empatizzando con personaggi dalle caratteristiche che, magari, l’osservatore non ancora incontrato dal vivo si può piantare il seme di una maggiore sensibilità.
Insomma, dagli occhiali all’apparecchio, dal colore della pelle all’orientamento sessuale, dalla forma fisica a quella psicologica, le rappresentazioni possono aumentare l’accettazione di sè e degli altri.
Non eguali, ma equi
Non si tratta dunque di rappresentare i “tipi di persona” (impresa che richiederebbe una stereotipizzazione ancora maggiore) in modo proporzionale alla loro presenza nella società; si tratta di condividere in modo equo gli spazi di rappresentazione mediatici, così da rappresentare e fornire modelli a tutte le persone.
È una strategia per aumentare l’inclusività senza appiattire le differenze; un modo di insegnare che non è necessario essere eguali per essere equamente degni di rispetto ed essere fieri di se stessi.
Angelica Frigo