Rapporto UNICEF sulla crisi climatica: l’allarme per i bambini

Rapporto UNICEF sulla crisi climatica: i bambini

Secondo il nuovo rapporto UNICEF sulla crisi climatica, pubblicato pochi giorni fa, un bambino su tre – circa 739 milioni di bambini – vive in condizioni di estrema povertà e scarsità di acqua. Il “Climate-Changed Child” è stato pubblicato in occasione del summit della COP28 a Dubai, in programma il prossimo 30 novembre. La situazione è in continuo peggioramento e la minaccia di malattie e morte è diventata quotidianità. Oltre alla mancata disponibilità di acqua giornaliera, sempre più insufficienti sono i servizi igienici e i servizi di sanità pubblica. La condizione di vita dei bambini è quella più preoccupante, sopratutto per la loro necessità di sviluppo e formazione fisica e mentale. 

Una delle più gravi conseguenze del cambiamento climatico

L’obiettivo che il rapporto UNICEF sulla crisi climatica ha è quello di evidenziare la problematica idrica e le sue conseguenze a livello globale. Le condizioni peggiorano sopratutto nei paesi economicamente e socialmente arretrati, dove le condizioni igieniche sono scarsamente mantenute e dove l’aria è inquinata a causa delle grandi industrie. In questo quadro drastico, a pagare caro, e il più delle volte con la vita, sono i soggetti più deboli, tra cui i bambini. L’eta dell’infanzia è infatti quella più delicata proprio perché prevede le prime costituzioni del corpo e della mente e il sistema immunitario deve essere forte e copioso. 

Secondo i dati pubblicati, ad oggi sarebbero 739 milioni i bambini che vivono in aree con scarse condizioni igieniche e scarsità idrica ma si prevede che, per il 2050, la cifra possa aumentare esponenzialmente con l’aggiunta di ulteriori 40 milioni di soggetti. Il continente asiatico, in particolare le regioni meridionali, è la principale vittima della crisi climatica e dell’alta mortalità infantile. Nepal, India, Pakistan e Sri Lanka sono gli Stati più a rischio e, non a caso, anche quelli più popolosi e poveri. Condizioni simili sono presenti anche nelle regioni africane subsahariane e in Medio Oriente. I paesi più colpiti sono infatti il Niger, Burkina Faso, la Namibia e la Giordania.

Con questo rapporto, l’UNICEF sta chiaramente chiedendo all’intera comunità internazionale di compiere passi importanti, e sopratutto reali, nel nome della salvaguardia dei bambini. La prima richiesta è quella di stanziare nuovi finanziamenti per salvaguardare la vita dei bambini, attraverso presidi, macchinari sanitari o cure sostanziali. Oltre alla questione particolare della cura dei bambini di tutto il mondo, alla COP28 si affronterà anche il macrotema, causa di tutti gli effetti, del cambiamento climatico. La crisi climatica si sta riversando, in tutte le sue forme peggiori, su tutto il mondo, colpendo però i paesi “in via di sviluppo”, la cui popolazione è estremamente povera, densa e c’è forte disparità economica. Un altro grande obiettivo è infatti quello di trovare accordi internazionali per ridurre le emissioni di gas o incentivare progetti sostenibili ed ecologici. 

La vulnerabilità e lo stress idrico

Secondo il rapporto UNICEF sulla crisi climatica, la gravità della condizione ambientale è data dalla “vulnerabilità idrica”, cioè la relazione tra la scarsità di acqua e il livello di servizio per l’acqua potabile. Nei paesi menzionati, la vulnerabilità idrica è estrema, quindi c’è un’elevata scarsità di risorse e un basso servizio di distribuzione di acqua potabile. Questa è una delle principali cause di morte o di gravi malattie inguaribili che posso affliggere i bambini sin dalla tenera età – intorno ai 5 anni. Tra le malattie più gravi, ci sono la malaria e la dengue, molto diffusa in India a causa dell’aumento della temperatura e delle zanzare. 

Un altro fattore critico è quello dello “stress idrico”, cioè il rapporto tra domanda di acqua e le riserve effettive. Ad oggi infatti è molto bassa la percentuale della disponibilità di acqua potabile, quindi un’acqua pulita ed adatta al corpo umano. La percentuale ammonterebbe al solo 4%. Dal rapporto, emerge che lo stress idrico è un comune denominatore di molti paesi del mondo, anche i più avanzati come quelli nella regione mediterranea. L’Italia è in una zona particolarmente vulnerabile e con poche risorse per difendersi dai disastri del cambiamento climatico. Ma come si fa a proteggere un’intera popolazione? Una domanda a cui è difficile rispondere ma che è anche difficile porre, se consideriamo tutti gli anni trascorsi nell’indifferenza delle istituzioni che non hanno mai considerato la crisi climatica un problema effettivo.



Il cambiamento climatico e la mano dell’uomo

Seppur timidamente, la comunità internazionale sta iniziando a muovere dei passi, ma potrebbe non essere più in tempo. Per tanto tempo infatti, il benessere dei bambini di molti paesi del mondo non è stato considerato una priorità. Considerando il problema della siccità idrica, la situazione è esasperata dalle condizioni climatiche bipolari. I periodi di siccità si sono sempre alternati a piogge violenti, ma a causa del cambiamento climatico anche le acque piovane sono sempre meno frequenti. La siccità è evidente osservando la terra e le coltivazioni, i pozzi e le riserve idriche.

Nonostante ciò, le falde acquifere di maggiore interesse internazionale, come per esempio il fiume Gange, sono oggetto di sfruttamento da parte delle grandi multinazionali e delle industrie delocalizzate. Il Gange è uno dei fiumi più sfruttati al mondo e, oltre all’inquinamento, gli interessi economici e commerciali sovradeterminano i bisogni umani e l’equilibrio naturale. Come in questo caso, il cambiamento climatico non è l’unico antagonista, ma anche la mano dell’uomo ha le sue responsabilità. 

Il messaggio del rapporto UNICEF sulla crisi climatica e il sostegno dell’UNFCCC

Attenzione, cura, rimedio sono le parole chiave di un disastro che ormai è difficile da gestire. L’UNICEF non chiede altro di occuparsi di tutte le giovani vite in pericolo, in particolare modo di quelle che vivono in Africa e in Asia. Dietro alla tanto sbandierata preoccupazione delle istituzioni, si nasconde una forte ipocrisia e un grande disinteresse, e i dati lo dimostrano. Ad oggi, solo il 2,4% dei finanziamenti per il cambiamento climatico sono destinati alla cura dei bambini e alla protezione dell’infanzia. Ciò che si chiede è infatti di prendere in considerazione i diritti dei bambini e di garantirli senza distinzioni di classe sociale, economica o di provenienza geografica. 

Accanto al problema infantile sollevato dall’UNICEF, il cambiamento climatico nel suo insieme e in quanto macro-tema sarà all’ordine del giorno nel summit di Dubai. Da poco è stato pubblicato un altro report da parte dell’UNFCCC, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si evidenzia come la disparità tra emergenza climatica e le azioni di “riparazione” sono fortemente squilibrate. Le ultime sono troppo scarse in quantità e qualità per soddisfare le prime. I due obiettivi da raggiungere, in un tempo di circa dieci anni, sono quelli di diminuire del 45% le emissioni globali di gas e la temperatura ambientale di almeno 1,5 gradi Celsius.

Dai dati del prossimo futuro invece appare tutto il contrario: le emissioni aumenteranno del 10%. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sollecitato che gli accordi e gli investimenti finanziari tra i paesi debbano essere sostenibili e riducano le emissioni tra il 2040 e il 2050. Fino ad adesso però, pochi sono stati i miglioramenti a causa dei deboli e flebili passi dei governi nazionali. Questa COP28 è quindi vista come una speranza, forse una delle ultime, per la vera virata verso azioni più decisive alla salvaguardia dell’umanità. 

Lucrezia Agliani

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