Rapporto ISTAT 2020: com’é cambiata la popolazione durante la pandemia

Rapporto ISTAT 2020

Pubblicata la 28° edizione del Rapporto ISTAT 2020 sulla Situazione del Paese. Un’ analisi pragmatica, e un po’ amaro, visto il recesso dell’ultimo anno. L’impatto del Covid sulla popolazione è infatti argomento centrale nel rapporto, da cui emergono anche evidenti cambiamenti in fatto di natalità, invecchiamento e migrazioni.

Il Rapporto Istat 2020 mostra com’è cambiata la popolazione sotto pandemia

In Italia al 1° gennaio del 2019 la popolazione era scesa di 400 mila unità rispetto al dato del 2015. Negli anni precedenti il dato era stato stagnante (sulle 200 mila persone), con nascite in continua in discesa e decessi che aumentavano solo tendenzialmente.

La denatalità, ovvero, l’assenza di nascite, è un tema ormai noto del rapporto ISTAT ma, per la prima volta, è stato inserito nell’ottica di una pandemia nazionale. Il fenomeno della denatalità è per lo più dovuto a cambiamenti strutturali della società, ma potrebbe essere influenzata anche da un calo della fecondità, dovuto al clima di paura ed incertezza in cui ci troviamo. Recentemente, sono stati numerosi gli articoli che hanno allarmato l’Italia sul numero crescente di aborti spontanei e morti post-parto. Per evitare persone affette dal virus, che si affollavano negli ospedali, molte donne non hanno potuto infatti visitare il loro medico e diagnosticare eventuali anomalie con la gravidanza. In Italia, il problema della natalità si è quindi aggravato, in una situazione in cui i giovani (fino a 14 anni) costituiscono solo il 13% della popolazione totale mentre gli anziani (>65 anni) sono il 23%.

Il rapporto fra giovani e anziani potrebbe cambiare

L’invecchiamento è però la caratteristica più comune di chi è deceduto da positivo. Nel rapporto ISTAT 2020 viene fornita la percentuale di persone che hanno perso la vita a causa del COVID: tra i 50 e 70 anni è il 31% mentre da 70 in su è il 39%. Purtroppo la pandemia non è ancora finita. Nei prossimi tre 3 mesi, l’ISTAT ha calcolato che ci potrebbe essere un incremento del tasso di mortalità tra i più anziani, fino al 50%.  Auspicando che il vaccino venga distribuito in maniera omogenea, la speranza di vita si abbasserà di solo un anno, a 82 anni.




Se veritiera, la previsione andrebbe a modificare il cosiddetto indice di vecchiaia, un rapporto percentuale che esiste tra il numero degli ultrassessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni. Entrambe le categorie ricadono sotto un altro indice, quello della dipendenza strutturale, ovvero il carico sociale ed economico della popolazione non attiva su quella attiva (tra i 15 e i 64 anni), quest’anno, in Italia ogni 100 persone attive ce ne sono 56,6 a carico.

I flussi migratori hanno aiutato il paese a ripopolarsi ma la pandemia ha esposto le disuguaglianze esistenti

Esistono però altre categorie, oltre a quelle legate alla sola età degli individui. L’emergenza, a partire Marzo 2020, ha acuito le disuguaglianze sociali, come evidenzia la stretta relazione tra livello di ricchezza e il numero di decessi. In particolare, il rapporto analizza il livello di istruzione, poiché legato all’occupazione della persona. Alcuni lavori essenziali come la vendita al dettaglio, l’agricoltura e i servizi di pulizia non permettono il distanziamento sociale. Le condizioni socio-economiche svantaggiate, inoltre, portano più persone a vivere in spazi piccoli, aumentando il rischio di contagio.

Nonostante la Pandemia, in Italia si è registrato un aumento dei lavoratori stranieri del 15-20%. Secondo il rapporto IDOS, che ricerca l’impatto della pandemia sulle popolazioni migranti, la maggior parte erano lavoratori essenziali. La povertà è un fattore che ha determinato una suscettibilità al virus pari al fattore di invecchiamento. Persone più giovani sono state più suscettibili proprio perché erano più esposte a lavori essenziali e a condizioni di vita più stressanti. Secondo l’ISTAT le persone con basso livello di istruzione, che vivono nei centri più densi, sono le più penalizzate.

I più colpiti

Per prime le donne hanno sofferto il rapporto “livello di educazione-tasso di mortalità”, con un indice che è salito da 1.08 a 1.36, dimostrando chi sono i più poveri in questa società. Tra i migranti, si contano 165 mila unità in più all’anno, di cui più del 50% sono donne.

Alla fine di questo anno disastroso, i dati del rapporto ISTAT ci confermano la mappa reale dei più colpiti in questa pandemia, a partire dalle unità italiane in calo. I cambiamenti sulla popolazione riguardano principalmente la mancanza di nascite, l’invecchiamento costante e la crescita di una popolazione migrante e poco tutelata. I dati dell’ISTAT tracciano un chiaro percorso del virus, che va oltre i dati e confini regionali. Un percorso dove il governo può finalmente vedere dati umani in evidente squilibrio con gli anni passati ed ideare nuove riforme a favore di una rigenerazione sociale del paese.

L’apporto migratorio ha infatti già aiutato a mitigare il calo demografico del paese, finché il pesante calo delle nascite tra gli italiani portò a ridurre i flussi migratori.

Elisa Melodia

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