Il rapporto B’Tselem ha messo in luce i gravissimi abusi subiti dai palestinesi a Hebron, una città che da sempre è teatro di tensioni e violenze. Il documento, intitolato “Unleashed – Abusi sui palestinesi da parte dei soldati israeliani nel centro di Hebron”, evidenzia come, tra maggio e agosto 2024, una serie di episodi di brutalità da parte dell’esercito israeliano abbiano segnato la vita quotidiana di molti palestinesi, rendendo evidente la dimensione sistemica della violenza esercitata sulle popolazioni civili.
Testimonianze di abusi: un ritratto di violenza
Il Rapporto B’Tselem ha raccolto un totale di 25 testimonianze di palestinesi che hanno subito violenze da parte dei soldati israeliani. Le storie raccontate dalle vittime sono strazianti e descrivono una realtà di abusi che spaziano dalla violenza fisica a quella psicologica. Le violenze documentate comprendono percosse, frustate, bruciature con sigarette, colpi ai genitali, e iniezioni di sostanze sconosciute. Inoltre, le vittime sono state sottoposte a legature e bendaggi prolungati come forma di tortura psicologica.
I soldati hanno agito in modo arbitrario, scegliendo le vittime in base al loro comportamento quotidiano: mentre si recavano al lavoro, bevevano un caffè o svolgevano semplici commissioni. Molti dei maltrattamenti sono avvenuti in strutture militari, dove le vittime venivano sequestrate per essere torturate senza motivo. Un dato significativo è che nessuna delle persone coinvolte è stata accusata di crimini: i più fortunati sono stati rilasciati subito dopo gli abusi, mentre altri hanno avuto bisogno di cure mediche urgenti. Solo in due casi si sono verificati arresti, ma entrambi gli individui sono stati rilasciati nel giro di pochi giorni senza essere formalmente accusati di alcun reato.
L’intensificazione della violenza e la disumanizzazione
L’escalation della violenza descritta nel rapporto non è un fenomeno isolato, ma un chiaro riflesso di un processo di disumanizzazione sistematica dei palestinesi. Questa disumanizzazione ha portato a una crescente percezione dei palestinesi non più come esseri umani, ma come una massa indistinguibile di nemici, cui è lecito infliggere danno. Ciò che emerge da queste testimonianze è la sistematicità degli abusi, che non sembrano derivare da atti impulsivi o vendette personali, ma da una cultura di oppressione che pervade le forze armate israeliane.
Il contesto di Hebron: una città sotto occupazione
Hebron, una delle città più contese e segnate dal conflitto israelo-palestinese, è un simbolo delle difficoltà quotidiane dei palestinesi sotto occupazione. Situata nella Cisgiordania, la città ospita un gran numero di coloni israeliani, protetti dall’esercito, che convivono con la popolazione palestinese in un ambiente di tensione costante. La presenza militare israeliana è opprimente, con il controllo rigoroso delle vie di accesso, dei punti di controllo e delle moschee, che limitano severamente la libertà di movimento dei palestinesi.
Le violenze raccontate nel rapporto si inseriscono in un quadro più ampio di apartheid e di politiche discriminatorie che caratterizzano il trattamento dei palestinesi da parte dello stato israeliano. La chiusura delle strade ai palestinesi, la confisca delle terre, e il continuo spostamento della popolazione locale sono solo alcune delle misure che limitano la loro libertà. In questo contesto, gli abusi documentati non sono altro che un riflesso di un sistema di segregazione che ha radici profonde e che si manifesta quotidianamente in forme sempre più brutali.
Violenza visibile e impunità
Una caratteristica particolarmente inquietante del rapporto è la crescente normalizzazione della violenza tra le forze israeliane. Molti degli abusi sono stati filmati dagli stessi soldati, che documentano e si vantano delle violenze inflitte ai palestinesi, confermando la completa impunità di cui godono i membri dell’esercito. Questi atti non solo sono tollerati, ma, in molti casi, appaiono come parte di una politica deliberata di oppressione che non viene perseguita o punita. La realtà descritta nel rapporto rivela una netta separazione tra la vita quotidiana dei soldati israeliani e quella dei palestinesi, in cui quest’ultimi sono visti come bersagli legittimi di abusi senza conseguenze.
Un regime di apartheid
Le violenze documentate a Hebron si inseriscono in un contesto più ampio di politiche israeliane che spesso vengono definite come un “regime di apartheid“. Questo termine, che fa riferimento alla separazione razziale e all’oppressione sistematica dei palestinesi, è stato utilizzato da numerose organizzazioni internazionali per descrivere la realtà dei Territori Occupati. Le violenze, come quelle denunciate di B’Tselem, non sono atti isolati, ma sono il frutto di una politica sistematica che mira a smantellare la vita e l’autonomia palestinese.
In questo scenario, la denuncia di B’Tselem si pone come un atto di resistenza e di denuncia di fronte a una violenza che sembra essere diventata parte integrante della gestione della “sicurezza” da parte di Israele, una sicurezza che, però, non tutela i diritti dei palestinesi.
Il rapporto B’Tselem ha gettato una luce inquietante su una realtà che, sebbene spesso ignorata dai media internazionali, è quotidiana per milioni di palestinesi. La violenza esercitata dai soldati israeliani a Hebron non è un’eccezione, ma un esempio di come il trattamento dei palestinesi da parte di Israele sia diventato sempre più brutale e sistematico. Se da un lato questo tipo di violenze è tollerato e giustificato dal governo israeliano, dall’altro lato rappresenta una violazione evidente dei diritti umani, che non può essere ignorata dalla comunità internazionale.