Rapite 30 donne in Camerun dalle forze separatiste anglofone

Rapite 30 donne in Camerun

Qualche settimana fa sono state rapite 30 donne in Camerun: il fatto è avvenuto nella zona nord-ovest del Paese, teatro da anni di atroci conflitti interni dovuti alla presenza di forze militari separatiste.

La repressione delle proteste

È dal lontano 2017 che, di fronte all’indifferenza internazionale, è in corso in Camerun una vera e propria guerra civile, dove delle forze militari separatiste ribelli hanno preso il controllo di alcune zone del territorio per poi proclamarle indipendenti. Tra tutte le vicende che si stanno susseguendo, recentemente sono state rapite 30 donne nella zona nord-ovest del Camerun dopo una protesta pacifica.

Il tutto è avvenuto nei villaggi di Kedjom Keku e Babanki, situati in una zona attualmente sotto rivendicazione da parte delle forze separatiste. Lo Stato autoproclamatosi viene chiamato Repubblica Federale dell’Ambazonia, nonostante non sia ancora riconosciuto a livello internazionale, e comprende una popolazione a maggioranza anglofona (rispetto al resto del Camerun, a maggioranza francofono).

In questo scenario si inserisce la protesta delle donne camerunesi. Nello specifico, secondo il “Centre for Human Rights and Democracy in Africa” (una ONG con sede a Yaoundé che documenta le violazioni dei diritti umani in Africa), le donne stavano svolgendo una “marcia pacifica per protestare contro le esazioni e le attività criminali dei terroristi“. Era stato infatti imposto ai civili da parte dei militari separatisti l’obbligo di pagare loro “tasse mensili di 10.000 franchi CFA (15 euro) per gli uomini e di 5.000 per le donne (7,50 euro)“.

Se da un lato i ribelli sostengono di dover raccogliere queste tasse per finanziare il proprio sforzo bellico in Camerun, dall’altro la protesta delle 30 donne successivamente rapite serviva per denunciare gli atti violenti delle forze militari dell’Ambazonia. D’altronde anche il governo camerunese è solito definire quest’ultime come gruppi terroristici anziché riconoscerli con i loro nomi.

Le premesse della guerra civile

Le ragioni storiche per cui possiamo capire le premesse di questo conflitto risalgono al Primo Dopoguerra, quando al dominio coloniale tedesco del territorio subentrarono quello francese e quello inglese. Gli Inglesi controllavano una piccola porzione di territorio denominata ai tempi South Cameroons, che corrisponde all’attuale Ambazonia. Queste suddivisioni contribuirono a determinare, anche nei decenni successivi all’indipendenza, le attuali lingue ufficiali del Camerun: se da un lato lo Stato oggi è a maggioranza francofono, vi sono minoranze nelle zone nord-ovest e sud-ovest che sono a maggioranza anglofone.

Nonostante la formazione della Repubblica Federale del Camerun tramite un referendum nel 1961, nei decenni successivi il potere del governo centrale, dominato dai francofoni, si è diffuso a svantaggio dell’autonomia regionale della zona anglofona. I tentativi di sradicare le istituzioni legali, amministrative, educative e culturali anglofone hanno contribuito nel tempo ad alimentare le tensioni sociali nella regione.

Verso fine 2016 iniziarono ampie proteste in seguito alla nomina di giudici francofoni nelle aree anglofone del Camerun. Tali manifestazioni furono accolte da una violenta repressione governativa, che ha portato a disordini e violenze contro le forze dell’ordine e a una polarizzazione delle posizioni. Il 1º ottobre 2017 infatti, fu promulgata una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della leadership ambazoniana, preceduta da una dichiarazione di guerra nei confronti del governo camerunese.

Oltre alle 30 donne rapite in Camerun, le violenze da entrambi i lati

C’è da notare come, alla luce dei recenti avvenimenti, le tensioni che hanno portato al conflitto non si stiano minimamente allentando. Entrambi i fronti sono stati regolarmente accusati da ONG internazionali e dalle Nazioni Unite di crimini contro i civili. Nel frattempo, secondo “International Crisis Group” (ICG), il conflitto ha provocato più di 6000 morti e costretto più di un milione di persone a trasferirsi. Anche “Human Rights Watch”, nel suo ultimo report, ha criticato sia il governo per la repressione dei separatisti e sia i ribelli per violazione dei diritti umani.

Alla luce di tutte queste accuse e condanne internazionali, sembra però che, come accennato prima, manchino gli interventi effettivi sul territorio da parte di queste organizzazioni per offrire aiuti umanitari alla popolazione locale e alle principali vittime civili di questo conflitto.

Mattia Tamberi

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