La pittura di Raoul Dufy alla “luce” delle vetrate
Pensando all’arte delle vetrate, allo stesso tempo strumenti funzionali e opere dalla loro autonoma storia estetica, che ornano le grandi chiese dal medioevo fino alla produzione dei nostri giorni anche al di fuori della sfera religiosa, e come l’opera di un pittore francese della prima metà del ‘900, Raoul Dufy, possa essere vista alla “luce” di tale tradizione plurisecolare.
La creazione di una vetrata
Si deve immaginare innanzitutto la produzione del vetro; le sostanze inserite nel crogiolo che modificano la coloritura della pasta vitrea, i listelli di piombo su cui i vetri sagomati verranno bloccati e l’applicazione della grisaglia, un’altra possibilità coloristica che permette di ottenere tonalità altrimenti impossibili, stesa sulla sagoma alla quale si salda definitivamente grazie ad un processo di ricottura. Si deve arrivare solo a questo punto al risultato: sentire la luce che trapassa le figure, che fa risaltare gli accostamenti, che invade con il suo splendore policromo lo spazio dello spettatore.
La vetrata dipinta
E bisogna ora spostarsi verso le opere di Raoul Dufy, in particolare “Henley. Regata e bandiere” oppure “La Fata elettricità”. Si può arrivare a dire che l’artista, in una parte di opere rappresentativa quantitativamente e qualitativamente della sua produzione, crea su diversi supporti l’effetto di una vetrata; ma di essa tutte le componenti sopra viste appaiono ora smembrate, non più connaturate e saldate nella struttura cristallina della vetrata, ma stese sul piano di lavoro del pittore, aggiunte totalmente superficiali. Come poste su di un vetro trasparente, ovvero la sua tela, la carta, dei pannelli, i colori occupano spazi privi di delimitazione, le linee evocano persone ed oggetti, presentandosi come un sistema di impiombatura ormai del tutto privo di rigidità e funzionalità di tenuta strutturale. Nella composizione, nel risultato finale, tutto sembra poter scivolare nelle diverse direzioni, passare sotto, includere altri piani, concorrere alla restituzione di una luminosità colorata.
L’effetto di un’opera di Raoul Dufy
Proprio per questo l’acquerello, per le sue possibilità intrinseche di macchia libera da una forma, di trasparenza, è un mezzo che rientra al meglio nella personalità artistica di Dufy, e che il pittore usò spesso. Ma anche nei suoi lavori ad olio non si perde la freschezza, la gioia dei colori che si esplica al meglio nei suoi soggetti contenenti un gran numero di figure. Su di essi lo sguardo dell’osservatore scivola nel seguire incontri e sconfinamenti, e nella distanza sostanziale rispetto alla vetrata si incontra un mondo pittorico dal medesimo splendore.
Giacomo Tiscione