Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dedicato un messaggio speciale di auguri ai milioni di musulmani in tutto il mondo che hanno avviato il Ramadan. Questo periodo, caratterizzato da riflessione e preghiera, è un momento cruciale per molte comunità, ma le preoccupazioni per gli eventi in corso a Gaza non sono passate inosservate. Guterres stamani ha espresso il suo pensiero e solidarietà nei confronti del popolo islamico che sta celebrando il Ramadan in Palestina, ma anche al popolo afgano e all’intera regione del Sahel, evidenziano la necessità di affrontare le sfide globali nel nome della pace reciproca.
Una pace chiesta da Guterres che però non è abbastanza e la sua solidarietà al Ramadan in Palestina
Nel suo sermone, Guterres ha aggiunto un messaggio speciale di solidarietà e supporto per coloro che stanno vivendo gli orrori della situazione a Gaza, in particolare con l’inizio del Ramadan in Palestina. La crisi umanitaria nella regione è diventata una priorità, e Guterres ha auspicato che questo mese sacro porti non solo riflessione spirituale ma anche una speranza concreta di pace. Su X, ha espresso la sua solidarietà dei confronti dell’iniziazione del Ramadan in Palestina, attualmente sotto le bombe e le occupazioni di uno Stato che l’ONU riconosce come tale e rifornisce di armi – e ancor prima del 7 ottobre.
È da dire quindi che il messaggio lanciato dal Segretario Generale è misto di falsa solidarietà ed ipocrisia: una finta bandiera bianca, che nulla ha a che vedere con la pace. Che sia sotto le bombe, durante un’occupazione o in una militarizzazione repressiva, la Palestina rimarrà sempre sotto assedio. Tante sono state le parole di solidarietà per l’inizio di questo Ramadan in Palestina, che continuerà nonostante Israele voglia invadere l’ultimo lembo di terra palestinese rimasto vivo.
La pratica del Ramadan in Palestina
Ieri, 10 marzo, è iniziata la pratica religiosa del Ramadan in Palestina, un sacro appuntamento per milioni di persone in tutto il mondo che sposano la fede islamica. È un momento di pace, sacralità e unione con il proprio Dio, che, in questo genocidio senza precedenti, potrebbe essere compromesso a causa delle continue bombe di Israele. La paura dell’occidente è quella di tentativi di unione e attentati nei confronti di Israele: insomma, si ha timore che ci sia una sollevazione di massa che possa portare più caos e violenza.
Ma sappiamo bene quanto la Palestina e l’occidente parlino due lingue diverse; evidentemente, ciò che è anarchia e caos per gli USA e l’UE, è sicuramente resistenza e vita per il popolo palestinese.
Il Ramadan è un momento di religione, non di violenza; è il momento del digiuno scritto nel Corano, che porta i fedeli a non mangiare per un mese all’anno, dall’alba al tramonto. Un altro importante passo per la celebrazione del Ramadan è quello di recarsi nelle moschee, per le preghiere e i momenti di socialità. In questo momento, per il Ramadan in Palestina sarebbe necessario recarsi nel luogo sacro di Al-Aqsa, la moschea considerata il terzo luogo più sacro dell’Islam.
Inizio del Ramadan in Palestina: le sfide a Gaza e i mancati tentativi di un cessate il fuoco
Lunedì ha segnato l’inizio del Ramadan in Palestina, come in molti paesi islamici. La presenza continua del conflitto tra Israele, Hamas e l’intera resistenza palestinese ha complicato gli sforzi per un cessate il fuoco, nonostante gli interventi degli Stati Uniti, dell’Egitto e del Qatar.
Intanto, le minacce di Netanyahu sull’invasione di Rafah sono sempre più prossime e concrete: secondo il presidente dello Stato sionista, l’invasione di Rafah avrebbe la fine di non “ripetere un nuovo 7 ottobre” e mettere al sicuro Israele dagli attacchi di Hamas. Le richieste di Hamas, comprese le garanzie di sicurezza e gli aiuti umanitari, sono state respinte da Israele, portando a una situazione critica con la mancanza di risorse essenziali come acqua, cibo e medicinali. Nonostante gli sforzi internazionali, la Striscia di Gaza continua a lottare, con una popolazione che ha perso case e mezzi di sussistenza.
La preoccupazione è cresciuta sempre di più anche perché a Rafah, in quest’ultima settimana, si sono rifugiate moltissime altre persone palestinesi, in cerca di aiuti umanitari dalle ONG europee, dai corridoi umanitari americani e dall’aiuto del vicino Egitto.
Inoltre, il Ramadan in Palestina potrebbe aggravare ulteriormente la crisi umanitaria per due motivi: il primo è la mancanza di cibo per un mese secondo la pratica religiosa, che aggraverà ancora di più la salute di uomini, donne e bambini palestinesi; in secondo luogo, il Ramadan sarà difficile da organizzare e gestire, in quanto momento di socialità che prevede i religiosi riunirsi per lunghe attività sociali o momenti conviviali.
La diplomazia internazionale tra i tentativi di mediazione e una richiesta flebile e poco credibile del cessate il fuoco
Negli ultimi giorni, i tentativi di mediazione internazionale hanno sollevato la possibilità di fermare i combattimenti. Le trattative su uno scambio di ostaggi tra Israele e Hamas non sono andate a buon fine, alimentando le tensioni e lasciando aperti interrogativi sulla volontà di entrambe le parti di raggiungere una soluzione pacifica.
Le parole decise del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, hanno suscitato un’attenzione significativa. La sua critica alla strategia militare di Netanyahu e la preoccupazione per il numero crescente di vittime civili a Gaza sono accompagnate da una richiesta esplicita di cessate il fuoco.
Nonostante le parole forti, non si sono verificate azioni concrete, sollevando interrogativi sulla reale influenza di Biden e sulla sua riluttanza a intervenire direttamente nella crisi umanitaria a Gaza. La vicenda solleva domande sul futuro, a cui già purtroppo ci sono delle risposte, riguardo alle relazioni tra gli Stati Uniti e Israele e sulla capacità di Biden di influenzare positivamente la situazione.
Progetti di aiuti umanitari mentre crolla la relazione tra Biden e Netanyahu
Per comprendere appieno la situazione, è essenziale considerare due elementi chiave. In primo luogo, i rapporti storici tra Biden e Netanyahu sono stati privi di fiducia, creando sfide nella gestione della crisi attuale. In secondo luogo, Biden cerca un equilibrio delicato tra il sostegno a lungo termine a Israele e la sua chiara ostilità verso l’attuale primo ministro.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito che un cessate il fuoco non è imminente e che la liberazione di ostaggi è una condizione essenziale. La sua determinazione a eliminare completamente Hamas e ripristinare il controllo sulla Striscia di Gaza ha un impatto significativo sul periodo del Ramadan in Palestina, mettendo in ombra il tradizionale spirito sociale e spirituale di questo mese sacro.
L’Unione Europea e gli USA si sono detti estremamente pronti nella ricerca di nuove strategie, come il paracadutare degli aiuti umanitari o la promessa di un porto galleggiante. Tutto ciò riflette quei minimi sforzi che gli USA hanno cercato di trovare come alternative per affrontare la crisi senza essere direttamente coinvolto nelle decisioni di Netanyahu.
È il caso, ad esempio, della ONG spagnola Open Arms che sarebbe dovuta partire oggi da Cipro in direzione della Striscia di Gaza. La nave è piena di aiuti umanitari e fa parte di quello stesso corridoio umanitario che la presidente della Commissione Europea, Ursola Von Der Leyen, ha presentato. Gli aiuti umanitari consisterebbero in tonnellate di cibo dall’America; attualmente però la nave non è partita, come previsto per questa mattina, e le circostanze ancora non sono state dichiarate.
L’importanza di una tregua il più veloce possibile
Il ricevimento del ex capo di stato maggiore Benny Gantz alla Casa Bianca senza l’approvazione di Netanyahu suggerisce possibili dinamiche future. Washington sembra orientata verso una visione post-conflitto, con la speranza di avviare un percorso politico per la Striscia. Le sottigliezze politiche rischiano di essere offuscate dalle immagini della tragedia a Gaza, mettendo Biden a rischio di essere considerato complice dalla parte degli elettori statunitensi.
Mentre la situazione continua a evolversi e il Ramadan in Palestina si sta aprendo, le incertezze sul cessate il fuoco e le tensioni a Gerusalemme alimentano il rischio che gli Stati Uniti possano essere coinvolti in un conflitto considerato irresponsabile da parte di alcuni alleati.
Il Ramadan in Palestina è un momento sacro di preghiera che probabilmente sarà minacciato da Israele e dall’intero occidente. Tutti gli sforzi diplomatici a nulla sono serviti, tra proposte di tregue, cessate il fuoco, fino ai pronostici di intesa che non si sono mai avverati.