Raffiche di musica a Kabul: Immaginiamo un dialogo di pace che abbia lo stesso potere evocativo della musica 

potere evocativo della musica

Autore: Kartik Malik

In tempi di cambiamento e di memoria, come quelli di questi giorni, l’unica soluzione che resta da provare è un dialogo di pace che abbia lo stesso potere evocativo della musica

In questo tempo di cambiamenti epocali, dove un territorio come l’Afghanistan si è ritrovato ad essere di nuovo governato dai Talebani, sono molti gli interrogativi che ci stiamo ponendo. Quello che mi pongo io, da quando l’America ha lasciato quel territorio è: come si può invogliare i Talebani a cambiare? Come si può provare a smussare gli angoli più duri del loro pensiero integralista?  

Un dialogo di pace efficace

Chiaramente soltanto un efficace dialogo di pace potrebbe portarci su questa strada.
Il problema è trovare dei diplomatici all’altezza di un compito così arduo. La mia fantasia di donna, forse con una un po’ troppo ottimistica speranza e un velo di ironia, ha indugiato su personalità come quella di Angela Merkel, passando per Michelle Obama e la regina Elisabetta. In seguito, è caduta su personaggi trapassati, ma dalla spiccata vena attivista tipo Mahatma Ghandi, Nelson Mandela, per finire poi su John Lennon. Ed eccolo, trovato! Servirebbe proprio uno come lui. 

Raffiche di musica a Kabul

 




Per un attimo ho immaginato che cosa accadrebbe se le strade di Kabul venissero inspiegabilmente invase non da carrarmati, ma da potenti casse acustiche impostate per la trasmissione della canzone Imagine a ripetizione. Un’operazione pericolosa, dato che i Talebani hanno vietato anche la musica, forse perché conoscono molto bene il potere che racchiude. Dunque, raffiche di musica e non di mitra da far arrivare dritte ai loro cuori per provare a cambiarli.  

Ironia a parte, ho sperimentato sulla mia pelle il potere evocativo della musica e per un attimo un brivido di speranza mi ha attraversato.

Il Potere Evocativo della Musica

In adolescenza avevo sviluppato una sorta di dipendenza positiva: almeno un paio di ore al giorno le dedicavo all’ascolto di musica. Era diventato un mondo parallelo dove tutto diventava bello, riuscivo a pensare molto e a prendere decisioni, o a fare progetti. E poi sognavo, sognavo e la musica mi portava in modo naturale ad immedesimarmi così tanto in quei sogni che capitava di emozionarmi, con il cuore che batteva forte come se fosse la realtà. E spesso accadeva una magia: proprio quei sogni, vissuti in modo così intensamente reale, con il tempo, si sono avverati. Sogni di adolescente, chiariamo, ma pur sempre sogni che si avverano.

Forse il potere evocativo della musica nasconde proprio questo segreto. 

Il Vaticano riscatta Imagine

Dunque, servirebbe un dialogo di pace che avesse i tratti della canzone di John Lennon, proprio ora che anche il Vaticano l’ha “riscattata”.  
Tutto merito del Vescovo di Noto Antonio Staglianò che in un suo recente articolo su l’Osservatore Romano difende la canzone Imagine dalle critiche del vescovo Mark Davies. Degna di nota è la sua affermazione secondo cui la preoccupazione di un vescovo dovrebbe essere quella di “abilitare la competenza interpretativa del credente perché sappia riconoscere la trascendenza dove meno te l’aspetti”, sostenendo altresì che anche Gesù avrebbe cantato questa canzone con convinzione, anche se in essa è racchiusa la negazione del Paradiso. Per giustificare ciò ha usato queste parole:

Il Paradiso dei kamikaze va immaginato inesistente per guadagnare la pace (come anche il Valalla dei Vichinghi, d’altra parte): bisogna negare un paradiso per cui si uccide e si muore. 

Attivare la Competenza Interpretativa

E’ forse proprio grazie alla semplicità del testo che questa canzone continua ad arrivare sempre dritto ai cuori, che continua a scuotere gli animi ancora oggi. 

Quando dico che servirebbe un dialogo di pace che abbia lo stesso potere evocativo della musica, non voglio banalizzare, o sottovalutare la situazione del popolo afghano. E’ solo il modo di esternare l’unica speranza, riguardo questa tema, che potremmo provare a realizzare davvero. Augurandoci che possa bastare. 

Un dialogo che con parole semplici possa attivare quella competenza interpretativa, di cui parlava il Vescovo di Noto nel suo articolo, che porta in modi inaspettati alla trascendenza.  

Servono parole che cambiano i cuori più che le menti e almeno in questo possiamo in qualche modo riuscire. 

A questo punto “potreste dire che sono una sognatrice, ma non sono la sola”. 

Veronica Sguera

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