Artefice di un linguaggio artistico che ha fatto scuola in tutto il mondo, definito sublime per la sua capacità di evocare attraverso immagini perfette: intorno a Raffaello Sanzio si è creato un mito straordinario, alimentato anche dal mistero che avvolge la sua morte, avvenuta il 6 aprile del 1520.
Raffaello Sanzio nasce a Urbino nel 1483. Uomo di studi, poliedrico e raffinato, è espressione, insieme ai grandi suoi contemporanei, da Leonardo a Bramante, di un rinnovamento epocale della concezione pittorica nella storia. Ha contribuito, infatti, al passaggio da una maniera secca, talvolta inadeguata, di rappresentazione artistica, a una maniera che si definisce moderna. Quella maniera che, come sottolineò Giorgio Vasari, ha permesso di superare la staticità e il congelamento delle forme per dare invece alle figure “il moto e il fiato”.
Dai primi passi alla modernità
A Urbino, uno dei centri propulsori del Rinascimento italiano, Raffaello Sanzio ha occasione di conoscere le opere dei maestri racchiuse nel Palazzo Ducale. Precocissimo, impara nella bottega del padre, Giovanni Santi, nozioni e tecniche fondamentali della pittura, ma è il contatto con un altro grande artista, Perugino, ad avviarlo sistematicamente alla professione. Opera spartiacque che segna il passaggio dall’apprendistato al confronto serrato con l’insegnante è lo Sposalizio della Vergine (1504): qui l’allievo supera il maestro. Raffaello si discosta dalla rigidità peruginesca, manifestando una sensibilità inedita per le linee, per la morbidezza. In una parola, per la modernità.
Il disegno diventa per l’artista uno strumento per plasmare la realtà. Negli anni in cui si sviluppano le teorie in direzione della mimesi, di un’accurata riproduzione della natura, Raffaello cerca l’equilibrio chiave tra spazio e materia.
Tra Firenze e Roma: la consacrazione
La legittimazione dell’operare artistico si compie, nel Rinascimento, attraverso lo studio – anche scientifico – di strade nuove di raffigurazione. Virtuosi, come Raffaello, rivendicano così la dignità intellettuale svolgendo un’attività polivalente nei campi della pittura, dell’architettura, fino all’ingegneria.
A Firenze Raffaello osserva i capolavori di Leonardo e Michelangelo. Assorbe dal primo il dinamismo delle immagini, dal secondo la plasticità dei chiaroscuri e compie una sintesi all’insegna dell’armonia, principio essenziale della sua estetica. Cresce intanto il suo interesse per la caratterizzazione sociale e psicologica delle figure e per il rapporto percettivo che l’immagine instaura con lo spettatore. Non conta solo la disposizione dei corpi nel quadro, ma anche il coinvolgimento di chi, dall’esterno, li osserva.
Durante il soggiorno fiorentino si dedica alla celebre serie delle Madonne col Bambino (come la Bella giardiniera), affina la delicatezza e l’intensità dei ritratti, lavora su commissione. Arriva poi la chiamata dal Vaticano e, con essa, la sua definitiva consacrazione.
Mito ed eredità
A Roma è incaricato dal papa Giulio II di affrescare le Stanze e di curare il progetto per la Basilica di San Pietro. Ed è a Roma che si compie la sua divinizzazione. La prossimità – pronta a trasformarsi in rivalità – con gli altri artisti, come Michelangelo, incentiva la perfezione delle sue pennellate, mentre la fiducia del pontefice accresce il suo prestigio. Raffaello diventa il principe delle arti.
La morte avviene di Venerdì santo, innescando le congetture di chi, credendolo davvero divino, vi ha visto un parallelismo con quella di Cristo. Forse una notte d’amore, forse un veleno: le circostanze non sono mai state chiarite.
Nella stanza del ritrovamento, pochi giorni prima della sua scomparsa, era stata appesa la Trasfigurazione e il contrasto tra la bellezza folgorante dell’opera e la sua prematura dipartita, scrive ancora Vasari, era così stridente da risultare insostenibile alla vista.
L’eredità di Raffaello Sanzio è stata raccolta con entusiasmo nei secoli successivi. Da Caravaggio a Velázquez, passando per Délacroix fino agli impressionisti come Manet, arrivando alle avanguardie del Novecento di Dalì e Picasso: un’influenza ineguagliabile. Per capirla basta semplicemente rivolgere lo sguardo ai suoi capolavori, a quei volti che comunicano con noi, che sembrano avere un’anima propria, immune allo scorrere del tempo.