L’anacronismo della proposta di legge sulla musica italiana in radio

Mai come negli ultimi giorni la musica è stata presa tanto in considerazione dalla comunità politica.

Purtroppo non si tratta di un rinnovato interesse culturale e neanche di propaganda elettorale definita. La polemica, ovvero il sale della politica, ha ormai invaso qualsiasi ambito di possibile confronto; dai palazzi del potere alle voci della strada il passo è sempre più breve. Qui però non si parla di voci di popolo o di antiche litanie cadenzate, entrate a far parte della tradizione popolare. Le voci che si levano sono sempre meno colorate e più aggressive e volgari (nel senso negativo del termine).

Dopo la consueta parentesi melodrammatica del Festival di Sanremo, il governo del “proprio popolo” e del non-cambiamento non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione, per rimettere in moto la macchina della propaganda, a favore dell’identità nazional-funzionale. Dopo le critiche alla direzione artistica di Claudio Baglioni, da parte del deputato della Lega Paolo Tiramani, e capogruppo vigilanza Rai, lo stesso ex carroccio rimette sul tavolo nuove iniziative sulla “difesa della musica italiana” partendo dalle emittenti radiofoniche.

E così ecco che arriva la proposta dell’ex direttore di Radio Padania, Alessandro Morelli: Una canzone italiana ogni tre, per legge.

L’attuale presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera, per sua stessa ammissione amante dell’Hard rock e Metal, dopo la vittoria di Mahmood, secondo lui voluta dalle lobby globaliste, ha deciso di farsi portavoce degli artisti e i produttori del nostro Paese attraverso una legislazione che tuteli l’arte musicale italiana. Non è bastato al giovane rapper, ripetere allo sfinimento di “essere italiano”; quel Waladi Habibi non può essere tollerato dai nuovi difensori dell’italianità (ex nordicità).

La “analogia” di una proposta di legge in materia di programmazione radiofonica

L’iniziativa legista prevede una quota pari al 10 per cento della programmazione giornaliera, che verrebbe riservata agli artisti emergenti, con il rischio di sanzioni per le radio che non rispetteranno la legge. La proposta fa in realtà riferimento alla legislazione francese. Si tratta della legge Toubon del 1994, la quale obbliga le radio francesi a trasmettere musica nazionale per una quota pari al 40 per cento della programmazione musicale giornaliera.

“La musica non è solo un passatempo ma un racconto della nostra vita, della nostra cultura, dei momenti della vita, dei luoghi e dei sentimenti” ha dichiarato Morelli. “Promuovere la musica italiana significa sostenere l’industria della cultura del nostro paese e quindi le tante persone che ci lavorano”.




L’iniziativa a sostegno dell’industria musicale italiana ha visto pareri contrastanti tra produttori e musicisti; chi è contrario e chi è a favore, ma quasi tutti sottolineano la necessità di arrivare a una sorta di “autarchia musicale”.

Attualmente la quota media di musica italiana nelle radio è inferiore al 23 per cento, secondo i dati raccolti dalle principali emittenti nazionali. È possibile parlare ancora d’influenza della radio, per il successo di una canzone? La statistica è stata confermata dalla classifica di Radiomonitor: tra i brani più trasmessi lo scorso anno infatti si risconta una media di cinque italiani e cinque stranieri, di cui quattro in lingua inglese ed uno in spagnolo. Tra i singoli più venduti, nelle prime dieci posizioni della classifica Fimi, non si riscontrano neanche gli ultimi successi realizzati in collaborazione con artisti stranieri. Entrambe le classifiche presentano solo due canzoni in comune: Amore e capoeira e La cintura.

La riflessione alla quale non tiene conto Morelli è che, a oggi e con la presenza dei nuovi colossi della musica digitale come Spotify, Deezer e lo stesso Youtube, la copertura radiofonica non incida più sulla diffusione e vendita di un brano, come un tempo. Poiché la fruizione e il consumo musicale è cambiato drasticamente, la politica dovrebbe analizzare un quadro generale molto più ampio e veloce, invece di rimanere arroccato a facili suggestioni revisionistiche, tanto care al sovranismo 4.0, né tantomeno sperimentare sterili emulazioni esterne, il cui obiettivo resta sempre il potere del consenso.

Fausto Bisantis

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