Dall’inizio dell’ultima campagna elettorale si è notato un notevole incremento sui social di termini ed espressioni quali: radical chic, buonista, komunista, zekka rossa, comunisti con il Rolex, e allora il piddi? e via dicendo.
Tali termini ed espressioni vengono usati, abusati e ripetuti come un ritornello ogniqualvolta un utente si ritrovi ad esporre un parere o una posizione contraria a quella dell’attuale Governo e a favore di immigrati, rom e quanti li difendono (si veda alla voce Roberto Saviano, anch’egli definito ‘radical chic’ e ‘buonista’). Se qualcuno prova anche solo a fare una riflessione che non rispecchi le linee di pensiero dei ‘leoni da tastiera‘, si ritrova ‘etichettato’ con uno dei succitati epiteti, così tanto in voga e così tanto frequenti da essere divenuti risposte già pronte all’uso, a portata di click, per ‘offendere’ chi la pensa diversamente, quanti vengono definiti in maniera dispregiativa ‘intellettuali‘. Già, perché al giorno d’oggi avere una cultura, un bagaglio di conoscenze e di studi sulle spalle non è affatto positivo, anzi. Nell’era dei social basta avere uno smartphone per dire la propria opinione su tutto e tutti, per pontificare sui massimi sistemi dell’universo, senza averne la benché minima cognizione. Che si tratti di diritto costituzionale (il famoso impeachment contro Mattarella), che si tratti di diritto internazionale (l’altrettanto famoso caso della nave Aquarius), che si tratti di tutelare chi viene minacciato dalle organizzazioni criminali (la famigerata scorta di Saviano). Chiunque dice la sua, senza pensare che, per sostenere un discorso su temi più che mai delicati, bisognerebbe avere un minimo di conoscenze e competenze a riguardo. Abbiamo sistemi di comunicazione sempre più avanzati eppure comunicare è divenuto impossibile.
Proprio dall’odio, dalle frasi fatte, dalle parole trite e ritrite e dal razzismo dilagante è nata l‘idea di Umberto Mastropietro, originario di Civitella Roveto (Abruzzo), trasferitosi nell’ormai lontano 1990 a Potsdam, città in cui lavora in qualità di amministratore delegato di una società di software. Per dirla in breve, lui è un italiano emigrato all’estero, uno dei tanti, e ha dato vita ad un progetto davvero ‘simpatico’.
“Ciò che mi ha sconvolto di più è stata l’incomunicabilità: quando vedevo un post intollerante e cercavo di spiegare che gli italiani per primi sono stati un popolo di migranti, vittime di razzismo e xenofobia, ho sempre ricevuto risposte sconnesse, senza contenuto. Il dialogo è impossibile perché ti liquidano con un insulto. Ti chiamano radical chic, buonista, zecca comunista. Una volta mi hanno detto: vivi in Germania, guadagni un sacco di soldi, ti piace fare il radical chic mentre noi siamo costretti a stare in Italia con i negri. Non sanno che ho iniziato come operaio e ho imparato a programmare da la sera, da solo”.
E così ha pensato di raccogliere tutti questi insulti e di creare una linea di abbigliamento ed accessori recanti queste odiose parole. Questa linea si chiama proprio Radical Chic. Ma a chi è destinata una simile iniziativa? Proprio a quanti vengono definiti buonisti, komunisti e zekke rosse. Ma se qualcuno volesse insinuare che questa sia solo una trovata per fare soldi facili, si sbaglia e anche di molto.
“Su ogni articolo venduto la ditta che le stampa si tiene l’80% del ricavato e cede all’ideatore il restante 20. Quei soldi io li dono direttamente a Emergency, perché il mio obiettivo è far indossare le maglie, non fare profitto“.
Roba da buonisti doc. Il suo fine non è quello di lucrarci, Umberto Mastropietro vuole solo far uscire allo scoperto quanti temono di esprimere la propria opinione, per paura di essere additati come radical chic, dai sostenitori del governo pentaleghista.
“Provo a mettermi contro la violenza verbale, stampando delle magliette. Credo che la demagogia, il populismo, questa forma di comunicazione aggressiva che oggi vediamo sui social e nella politica non sia utile a nessuno. Voglio dar coraggio a quei pochi che ancora difendono i valori su cui è stata fondata la Repubblica, perché ora quasi ci si vergogna a dichiararsi antifascisti. Secondo me, invece, gli italiani che non vogliono avere nulla a che fare con il fascismo, con il razzismo, sono la maggioranza. Se indossiamo una maglietta ci riconosciamo. Uniti ci sentiamo più forti”.
Una maglietta per distinguersi dalla massa ignorante che pervade i social, una maglietta per dire: “Sì, sono radical chic e buonista e me ne vanto”. Una maglietta per combattere l’odio, il razzismo, gli insulti, le offese e la violenza verbale”.
Questi indumenti stanno andando a ruba: inizialmente ne aveva fatta stampare una per sé ed una per un suo amico, alcuni loro conoscenti le hanno viste e hanno chiesto di poterle avere. Così il 14 luglio scorso Umberto ha fondato il marchio e in poche settimane vengono vendute 600 magliette. Chi le produce? 20 volontari. Il ricavato viene devoluto a Emergency, Croce Rossa e Medici Senza Frontiere. Tutti i guadagni vengono resi pubblici sia sul sito che sulla pagina Facebook. Ad oggi, sono stati incassati 12 mila euro, di questi 3 mila sono andati all’associazione di Gino Strada. L’idea dietro il progetto Radical Chic è davvero degna di nota, ma, com’era prevedibile, ha anche attirato le critiche di quanti si scagliano contro i buonisti.
“Mi hanno detto che merito che i rom mi rubino in casa o violentino mia moglie, che se mi incontrano per strada mi ammazzano di botte”.
Ecco chi sono i leoni da tastiera, ecco il livello medio dell’opinione pubblica sul web, ecco chi critica i radical chic.
Carmen Morello