Il dibattito sulla raccolta delle firme per poter presentare una lista alle elezioni è centrale in questa campagna elettorale. Forse non se ne è parlato abbastanza ma esiste un evidente problema di rappresentanza su temi che alcune forze, che non siederanno in Parlamento, trattano quotidianamente. Il problema della rappresentanza tocca poi anche tutti i fuorisede che non potranno votare. Affrontiamo ora un argomento per volta.
La raccolta delle firme
Il Decreto del Presidente della Repubblica 361 del 30 marzo 1957 stabilisce che i partiti debbano organizzare una raccolta delle firme da presentare insieme ai documenti per la presentazione delle liste. La soglia che consente di poter partecipare alle elezioni politiche è di almeno 36mila firme (la metà delle firme necessarie normalmente, dimezzate secondo la legge sullo scioglimento anticipato delle Camere). Una corsa contro il tempo visti i tempi ridotti e la concomitanza con il periodo estivo, che comporta la chiusura di molti uffici, ma soprattutto l’assenza dal luogo di residenza di tante persone in vacanza (si può firmare infatti solo nel proprio comune).
Chi non ha dovuto organizzare la raccolta firme
Nel Decreto Elezioni del 5 maggio scorso sono state previste alcune esenzioni alla regola appena riportata. Infatti hanno potuto presentare le liste senza raccogliere le firme:
i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021.
Quindi sono stati esentati il Pd, la Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, il M5s, Liberi e Uguali (il cui simbolo non sarà presente sulle schede), Italia Viva e Coraggio Italia. Un altro esonero riguarda un ulteriore gruppo di partiti, ossia:
chi ha presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all’1 per cento del totale.
Ecco spiegata l’esenzione di +Europa, Centro Democratico e Noi con l’Italia. Quest’ultimo caso avrebbe potuto comprendere, seppur sul filo del rasoio, anche Azione di Calenda (eletto al Parlamento Europeo con il vecchio simbolo Pd-Siamo Europei ). Il dubbio sulla legittimità è diventato poi inutile visto l’apparentamento con Italia Viva.
Anche altri partiti hanno evitato la raccolta firme. Qualche esempio: Impegno Civico, neonata formazione dell’ex pentastellato Di Maio ha evitato la raccolta grazie al prestito del simbolo di Centro Democratico di Bruno Tabacci (operazione già compiuta con +Europa alle precedenti elezioni). Stessa situazione per alcune liste apparentate con Noi con l’Italia, come ad esempio Italia al Centro di Giovanni Toti.
Chi ha dovuto organizzare la raccolta delle firme
Diversi partiti, o liste che comprendono varie identità politiche, hanno dovuto raccogliere le firme. Un esempio su tutti è quello di Unione Popolare con De Magistris.
Al contrario di Unione Popolare alcuni partiti non sono riusciti a raggiungere il numero di firme richieste.
Ci sono poi altri casi limite. Per esempio abbiamo sentito di partiti di estrema destra che non hanno raggiunto questo obbiettivo e che quindi rimangono fuori dalla competizione elettorale. Qui nasce una domanda: un partito di chiara e orgogliosa ideologia fascista deve essere escluso perchè in Italia è praticamente fuorilegge o perchè non raccoglie le firme? A voi la risposta.
I diritti civili e le lotte fuori dal Parlamento
Tra chi non sarà presente al voto c’è la lista di Marco Cappato: Referendum e Democrazia.
Nonostante il ricorso presentato al Tribunale di Milano sulla validità delle firme raccolte con lo Spid, che invece ha valore per esempio per i referendum, pare difficile che questa lista possa comparire sulle schede elettorali.
Qui però si apre un altro capitolo che approfondiremo nel corso di un’intervista (che pubblicheremo a breve) ad Aldo Luchi, Presidente della Cellula Coscioni di Cagliari.
Luchi ci parlerà, tra le altre cose, della proposta di raccogliere le firme con lo Spid e delle lotte che l’Associazione Luca Coscioni e Marco Cappato portano avanti fuori dal Parlamento.
La mancata rappresentanza dei temi etici e civili
Nella prossima legislatura per i diritti civili in Parlamento non ci sarà vita facile. Le proiezioni fanno capire che non si potrà creare una maggioranza che voglia o possa portare avanti queste battaglie.
Ad essere onesti però bisogna ammettere che anche nella legislatura che si è appena conclusa non è stato fatto molto nonostante i numeri (soprattutto nel governo giallo-rosso) facessero pensare diversamente. Un’occasione persa soprattutto dal centrosinistra che non è riuscito a imporre i ddl su questi temi.
Se è vero che ci sono stati vari esponenti favorevoli, anche all’interno di partiti con posizioni ufficialmente contrarie (per esempio Elio Vito), è altrettanto vero che le enormi difficoltà che i diritti civili hanno affrontato in questi anni sono dimostrate dal fatto che non sono stati approvati:
- il ddl Zan (arenato al Senato);
- il ddl sul fine-vita (mai arrivato al Senato);
- il ddl sulla legalizzazione della cannabis (pensiamo soprattutto all’uso terapeutico);
- il ddl sulla procreazione assistita (rimasto addirittura nelle commissioni senza arrivare in aula);
- lo ius scholae (fermato direttamente alla Camera).
Se, come pare, vincerà il centrodestra allora queste proposte rimarranno nei cassetti dei palazzi della politica. La coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi è sempre stata chiara e coerente sulla propria contrarietà a molte di queste istanze.
I fuorisede e il voto negato
Si parla spesso del problema dell’astensione. Far votare i fuorisede non avrebbe risolto completamente il problema, ma avrebbe dato un grosso segnale di inclusione. Parliamo di un problema vecchio, ma ancora nessuno ha saputo risolverlo. Molti giovani, ma non solo loro, si trovano per svariati motivi (studio, lavoro, salute ecc) lontani dal proprio comune di residenza e spesso tornare è veramente complicato.
Dire ad un giovane che si trova lontano da casa che deve tornare due volte, uno per apporre una eventuale firma a favore della presentazione di una lista, e l’altra per le votazioni vere e proprie, equivale a scoraggiarlo completamente.
Sarebbe stato utile consentire il voto a chi è lontano da casa perchè non sempre si ha il tempo di tornare, ma soprattutto perchè tornare costa (pensiamo per esempio ai sardi fuorisede che non hanno alternative meno costose rispetto all’aereo o alla nave).
Un’altra proposta è quella del voto tramite firma digitale, sistema già autenticato per tante altre pratiche ufficiali e garantito dal corretto ente certificatore.
In conclusione, o si rimborsa completamente il costo del viaggio oppure si torna alla prima opzione, il voto nel comune dove si vive in quel momento. Questo avrebbe consentito un importante risparmio economico e soprattutto un grande esercizio di democrazia.
Alessandro Milia