Nell’incessante dibattito che riguarda la salute mentale e fisica in rapporto all’ambiente lavorativo, si sta inserendo in modo esponenziale la pratica del quiet quitting. Diventata popolarissima dopo la pandemia di Covid-19 indica un nuovo modo di rapportarsi agli orari e agli impieghi lavorativi.
Una definizione di quiet quitting
Quiet quitting è un termine nato sui social che indica le attività lavorative che vengono svolte in tempi e modi che rispettino esclusivamente le indicazioni del contratto. Letteralmente significa licenziamento silenzioso, in realtà nessun lavoro viene abbandonato, ma viene solamente limitato nei termini prestabiliti da contratto. La pratica è volta a interrompere quel circolo vizioso di ansia e stress spesso collegati agli ambienti di lavoro dove – spinti da una competizione continua – i lavoratori sentono di dover far sempre di più per confermare il proprio valore e la propria posizione. Niente più straordinari, mansioni eccezionali o orari stravolti: rispettare il proprio ruolo per rispettare i propri bisogni e tutelare la salute psicologica.
Ad avere influito nella nascita di questa pratica ovviamente è stata anche la pandemia: l’impossibilità di sfruttare il proprio tempo libero e il lavoro da casa hanno portato a uno stravolgimento degli orari di lavoro e delle mansioni senza precedenti, le conseguenze psicologiche sono state tragiche.
Contro il Burnout
Questa tendenza è nata proprio per remare contro la hustle culture, quell’idea per cui per raggiungere i propri obiettivi lavorativi e personali è necessario superare se stessi e dare sempre di più. In inglese hustle significa trambusto, attività febbrile e, insieme a questa pratica si è diffuso anche il termine burnout – strettamente legato alla salute mentale – che indica una sindrome che si verifica in situazioni di stress correlate al lavoro. Questa connessione mostra la debolezza di un sistema che spinge a fare sempre di più: mentre ognuno corre il traguardo si allontana e diventa irraggiungibile, i sacrifici sembrano inutili e l’insofferenza cresce. La hustle culture non corrisponde all’ambizione, ma è un approccio al mondo del lavoro che porta gli individui ad annullarsi e a lasciare che il lavoro domini il proprio tempo e la propria vita.
La soluzione sembra allora essere il quiet quitting che non significa non lavorare o non rispettare il proprio ruolo, ma solo darsi dei limiti per non sovraccaricarsi, per darsi la possibilità di essere stanchi, di fare altro. Tornare a quella vecchia – eppure attualissima – storia di non vivere per lavorare, ma lavorare per vivere e mettendo una cesura chiara tra vita personale e vita lavorativa, orario di lavoro e tempo libero.
La nascita del quiet quitting
Il termine di quiet quitting è apparso per la prima volta su un video TikTok di Brian Creeley, un career coach e youtuber statunitense. Era il marzo 2022 e in un video ha deciso di far riferimento a un articolo intitolato: “Fed up with long hours, many employees have quietly decided to take it easy at work rather than quit their jobs”. Dopo aver citato il pezzo, ha spiegato la tendenza di molti di «licenziarsi silenziosamente» invece di abbandonare il posto di lavoro a causa dello stress lavorativo. Il video è andato virale, raggiungendo 3,5 milioni di visualizzazioni, perché molti utenti hanno commentato spiegando i benefici di un lavoro più misurato e consapevole. Da quel momento il dibattito sul quite quiting ha preso sempre più spazio sui social, diventando una vera e propria tendenza.
Gli appartenenti alla Gen Z , e anche i millennials, sembrano aver costruito un fronte comune nei confronti di questa pratica denunciando il sistema che fa sprofondare il mondo del lavoro in un clima di ansia e stress. I più giovani trovano che sia legittimo rivendicare un equilibrio tra vita privata e lavoro e probabilmente aiuta anche il fatto che i più giovani siano più sensibili ai temi che riguardano la salute mentale.
I dati italiani
Il loop di ansia e preoccupazione in cui verte il mondo del lavoro si sta traducendo nel fenomeno di Great Resignation: dimissioni di massa di lavoratori causate da burnout, volte a cercare un equilibrio migliore tra lavoro e salute mentale. I dati Italiani che si basano su un indagine Ranstad dimostrano che le problematiche cui vuol mettere un punto il quiet quitting non riguardano solo gli Stati Uniti, ma ci toccano da vicino. Nel 2022 ci sono state 1,7 Milioni di dimissioni volontarie e a spaventare sono le ragioni: il 47% si è dimesso a causa dell’insoddisfazione per gli incarichi, il 34% per la mancanza di interesse nei confronti delle attività svolte e il 30% per la totale assenza di obiettivi chiari. Sono dati che evidenziano che il mondo del lavoro è vissuto con stress, e con la sensazione che la propria individualità e le proprie necessità non siano importanti.
A essere colpiti, come confermano le rivendicazioni al quiet quitting, sono gli under 40: il 76% delle dimissioni volontarie riguarda i più giovani, il 28% appartiene alla generazione X, mentre il 27% alla Z. Maria Pia Sgualdino, head of Randstad Professionals – come riportato da La svolta – denuncia la necessità di spostare gli equilibri nel mondo del lavoro, diventato un ambiente insostenibile per le nuove generazioni:
Il tema del benessere, sia fisico che mentale, sia molto sentito dalle persone. In particolare per le nuove generazioni, il lavoro non è più solo legato alla necessità funzionale, ma deve generare benessere emotivo per inserirsi nel progetto di vita. Le persone oggi non sono più disposte a sopportare ambienti di lavoro poco “sani”, dal punto di vista fisico e emotivo, chiedono equilibrio tra vita e lavoro.
Non si può dire se la soluzione per questo sistema malato sarà il quite quitting o se sarà necessario creare nuove forme di comunicazione tra i vertici e i dipendenti per costruire nuovi modi di rispettare l’individualità e i bisogni dei lavoratori. Quel che è certo è che qualcosa deve cambiare.
Ludovica Amico