A Roma, lo sviluppo della retorica e, nel suo ambito, dell’actio, permettono al gesto di diventare oggetto di una viva attenzione.
Nessun trattato di retorica uguaglia per ampiezza e precisione l’Institutio oratoria di Quintiliano. E nessuno più di questo dedica maggiore attenzione all’actio : un intero libro (l’XI) le è dedicato. La teoria antica del gesto raggiunge qui il suo apice: in seguito, prima del XII secolo, non ci sarà più una teoria così elaborata del gesto.
Jean-Claude Schmitt, Il gesto nel Medioevo
Quintiliano (30-100 d. C.) afferma che i gesti sono il linguaggio comune a tutti gli uomini.
Egli sottolinea l’importanza dell’insegnamento dell’actio e, in particolare, della formazione appropriata dei gesti e dei movimenti. Seguendo la tradizione aristotelica, descrive tutte le parti del corpo – con le sue relative regole – dall’alto verso il basso, perché è tutto il corpo in movimento a dover recare il suo apporto all’arte dell’oratore.
[…] il capo deve essere tenuto dritto, ma senza rigidità, e deve seguire i movimenti delle mani e del busto. Il viso traduce i diversi sentimenti […]; attraverso la vivacità degli occhi è […] l’anima che traspare. I movimenti degli occhi devono quindi essere in armonia con tutti quelli del corpo, adeguandosi ai gesti dell’oratore. Nella tradizione della fisiognomica, le palpebre, le guance e le sopracciglia meritano un’attenzione particolare. In secondo piano vengono le narici, le labbra, la nuca, le spalle e soprattutto le braccia, le mani, le dita, e infine il tronco, le gambe e i piedi.
Le analisi maggiormente dettagliate riguardano senza alcun dubbio i movimenti di mani e dita, in quanto a queste parti del corpo è affidato il compito di condividere la durata delle parole, ossia accompagnarle senza anticiparle né continuare dopo di esse. Le mani e le dita devono adattarsi alla cadenza della voce, al ritmo e alla stessa respirazione dell’oratore.
L’attualità del pensiero sta nel fatto che, per Quintiliano, i gesti non sono soltanto gli ausiliari delle parole.
Egli cerca di definire ciò che oggi chiameremmo la funzione para-linguistica dei gesti: distingue un lessico dei gesti (notando che ci sono, pressoché, tanti gesti quante sono le parole), ma soprattutto le loro funzioni sintattiche (che li avvicinerebbero ad avverbi, pronomi, aggettivi dimostrativi). Nonostante questo, gesti e parole non si confondono, e anzi i primi sono molto lontani dal sottomettersi alle seconde: non possiamo dire “quello” senza puntare il dito verso ciò che dobbiamo indicare (anzi, per essere compresi basterebbe compiere questo gesto senza usare le parole).
La maniera di procedere di Quintiliano è nuova perché egli non parte dai significati per attribuire loro determinati significanti gestuali, ma anzi parte dagli stessi gesti cercando di costruire il quadro delle loro variazioni e opposizioni, mostrando in seguito quali differenze di significato ne derivino e quale uso l’oratore debba fare di essi durante il suo discorso.
Inoltre, Quintiliano tenta una classificazione di sei tipi di gesto della mano, basata su opposizioni spaziali: destra/sinistra, alto/basso, avanti/indietro. Ancor meglio dei gesti della mano, quelli delle dita sono descritti con estrema cura. Nel testo dell’Institutio oratoria si possono contare una sessantina di gesti delle dita, presentati secondo la stessa procedura: partendo da un gesto di base, ne vengono evocate le variazioni (a seconda dei casi, più o meno numerose).
Questa è la prova della precisione e dell’acutezza della teoria del gesto elaborata da Quintiliano.
Annapaola Ursini