Guardate questa moneta.
Guardatela bene. Leggete cosa c’è scritto?
C’è scritto Italia. E sapete a quando risale? A oltre duemila anni fa. Duemila. Siamo a circa cento anni prima della nascita di Cristo. Un tempo così lontano da renderci difficile immaginarlo.
Perché cento anni prima della nascita di Cristo, l’Italia già esisteva. Ancor prima della Francia, della Germania, della Spagna, dell’Inghilterra. Ancor prima di tutto questo, l’Italia esisteva. Da Nord a Sud, il Paese c’era. Con una lingua, una capitale, una cultura.
Poi, quando Roma cadde, quell’unità venne frantumata. Il destino ci tirò il primo, grande un brutto scherzo: dalle stelle, dall’Impero, alle stalle, la disunità, l’occupazione straniera. «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!».
Ma il destino lo prendemmo per le corna. E, pur disuniti, pur divisi e occupati, facemmo un miracolo: donammo al mondo una nuova rinascita. Dopo aver donato all’umanità la cultura classica, arrivò il Rinascimento. Il nostro Rinascimento. La luce nella tenebra.
Eppure al fato questo non bastò. Altri secoli bui ci attesero. Ma ancora una volta, ci rialzammo. Dalle difficoltà, dagli ostacoli, traiamo sforza. Ancora una volta quel fato lo guardammo in faccia e lo sfidammo. Lui, che ci voleva deboli. Che non ci voleva più popolo. Gli dicemmo no. E arrivò.
Arrivò l’Unità d’Italia. Contro tutto e tutti, grazie a donne e uomini di ogni parte di questa terra, quel sogno fu realizzato. Tardi, con mille problemi. Ma arrivò.
E ancora una volta il destino ci fu avverso.
Poche risorse, tanta povertà. Gli altri in Europa correvano, noi facevamo fatica. “Potenza minore”, ci chiamavano. E come “potenza minore” affrontammo guerre, terremoti, eccidi, alluvioni, dittature. Ne passammo tante. Tante volte il ginocchio andò a terra. Tante volte ci è sembrato l’ultimo momento.
E tutte le volte ci siamo rialzati.
Tutte le volte quel fato lo abbiamo guardato in faccia e abbiamo detto no. E quel no ci consentì di ricostruire. Di avere il “miracolo italiano”. Di tornare ad essere un grande Paese. Di guardare le “sorelle maggiori”, più grandi e forti, da pari se non di più.
E quel no, quel no lo diremo allora anche oggi. Oggi che il fato ci ha giocato l’ennesimo brutto scherzo con questa pandemia.
Oggi che quel fato lo prendiamo ancora una volta per le corna. E che gli diciamo che qui, qui non si molla di un centimetro.
Perché siamo italiani.
Tanti auguri, Italia nostra.
Tanti auguri.
Leonardo Cecchi