“Se qualcuno ci avesse detto, in quei giorni, che quelli erano i nostri giorni, irripetibili, e che eravamo dentro un’eterna promessa che il tempo vissuto dopo non avrebbe mantenuto, noi non gli avremmo creduto. Avremmo pensato che invece il nostro tempo fosse ancora davanti a noi, che il meglio dovesse ancora venire…”
QUESTI GIORNI, Giuseppe Piccioni
Il “Paradiso perduto” di Milton, con un richiamo alla cecità dell’autore, alla forza dell’immaginazione, che il professore di Liliana interpretato da Filippo Timi non può fare a meno di citare, dopo la lettura della meravigliosa metafora sulla condizione umana, è l’incipit di “Questi giorni”, l’ultimo film di Giuseppe Piccioni presentato ieri 8 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sua 73esima edizione, un film a metà tra il cineromanzo e il road-movie, che abbiamo il piacere di raccontarvi grazie all’anteprima concessa alla stampa, prima dell’uscita sul grande schermo prevista per giorno 15 settembre (prendete nota!).
“Questi giorni”, liberamente tratto dal romanzo “Color betulla giovane” di Marta Bertini, trasportato sullo schermo grazie all’opera di sceneggiatura del regista Piccioni, unitamente a Pierpaolo Pirone e Chiara Atalanta Ridolfi, è un viaggio all’interno di se stessi e della propria vita, fatto attraverso quattro giovani donne. Un vero e proprio film di formazione che scopre la fragilità della condizione umana e di una gioventù che parte alla ricerca di qualcosa di indefinito, per ritrovarsi travolta da una miriade di eventi.
Le sue quattro protagoniste, giovani, in età universitaria, mostrano, ognuna, una cognizione del dolore che si palesa in vari aspetti della vita. Forse la cosa che più colpisce è che prima di intraprendere il loro viaggio, da Gaeta a Belgrado, in cui Liliana, Anna ed Angela, interpretate rispettivamente da Maria Roveran, Caterina Le Caselle e Laura Adriani, accompagnano la loro amica Caterina, interpretata invece da Marta Gastini, la quale invitata dalla misteriosa Mina decide di trasferirsi nella capitale serba per fare la cameriera in un grande hotel, ognuna di loro è infelice, ognuna a suo modo, ognuna sembra vivere con grande smarrimento quel momento di passaggio verso l’età adulta.
Non vi è spensieratezza. Non vi è arroganza. È il dramma il corollario del passaggio verso l’imprevisto. L’indecisione, l’insicurezza sono i fedeli sodali di un percorso di riscoperta.
Vale per Caterina, personaggio incredibilmente complesso, nonché fulcro-motore della vicenda, vale per Anna, che con il suo viaggio va incontro ad una fuga dalle responsabilità e da sé stessa, incinta e desiderosa di riscattare ancora ciò che la sua giovane età ha da darle. Vi è poi Liliana, la quale non riesce a trovare il coraggio di ammettere la sua malattia, mai nominata a voce alta, alle amiche e, persino, alla madre, interpretata da una formidabile Margherita Buy, che conferma nuovamente la forza emotiva capace di sprigionare dietro la cinepresa. Vi è poi Angela, forte e fragile al contempo, che viene a contatto con l’amara consapevolezza di un amore che nulla da e tutto toglie, un amore senza futuro, ove “quel che verrà” è il dramma che accomuna tutte, all’interno di un’amicizia straordinaria e indefinibile.
Un film senza malizia e pieno di vita, in un lasso temporale, giorni appunto, che diventano più di un viaggio, più di quel che viene fuori “on the road”. E, colto tra le righe dell’immancabile letteratura che Caterina ha al suo seguito sin da quando, racconta, da bambina si è rotta la gamba, diventa qualcosa in più rispetto al rituale e celebrato passaggio. Vi è, nel film, la lirica sensazione che, nell’osservare i gesti, i movimenti e infine ascoltare le parole, si nasconda in fondo il senso della vita stesso, di cui il viaggio si fa promotore. Una metafora che si annida nella goffa presa di coscienza delle quattro giovani donne, colta tra la luce di un numero indefinito di candele, le stesse che, sul far della fine, Caterina, Angela e Mina, nel più totale silenzio, quasi a voler esprimere un desiderio, spegneranno.
Dietro le facce acqua e sapone delle sue protagoniste, dietro l’ingenuità dei sorrisi e delle guance rosee, dei complimenti accennati e dell’arrancata risposta che ne deriva, per certi versi anacronistica, quella della meglio gioventù, si nasconde la purezza, la semplicità e la profonda verità del film, un viaggio al termine della vita, che tra i dolori, gli impegni, le fughe, la malattia, l’amore e la sua assenza, si rivela essere una meravigliosa fotografia d’autore con obiettivo rivolto all’essenza, senza tuttavia tralasciare i dettagli.
Una messa a fuoco sulla vita. E Piccioni ci riesce, la coglie proprio in quei giorni, in cui “non è cambiato niente, ma è successo tutto.”
Di Ilaria Piromalli