I Rom sono il pomo della discordia, rappresentano il punto in cui l’antirazzismo di facciata viene messo alla prova e si rivela per quello che è: razzismo. Sarà capitato anche a voi: l’amico progressista, di sinistra, cosmopolita che però, appena si arriva all’argomento Rom, se ne esce con la gelida e vacua frase “Io non sono razzista MA i Rom sono un problema” .
O forse voi stessi vi siete comportati così.
Perché succede? Nell’immaginario collettivo, la persona Rom è di solito di sesso femminile, sporca e vestita di stracci, dedita al furto e al vagabondaggio, di quando in quando al rapimento dei bambini per scopi non meglio precisati; il rom manda i suoi figli a fare l’elemosina e pretende utenze gratis per campi che sono come fogne a cielo aperto. Bisogna ammettere che, raccontata così, in effetti l’etnia Rom non sembra molto simpatica. Il problema è che questo racconto viene alimentato da un immaginario fatto di dicerie, giornalismo semplicista, luoghi comuni e soprattutto una profonda ignoranza: sono ben pochi quelli che si prendono la briga di conoscerli, studiarli, dati alla mano e tramite la viva voce degli stessi.
Il viaggio alla scoperta dei Rom è immenso e allo stesso tempo affascinante e complesso, raccapezzarsi in poche righe è davvero arduo ma, con buona sintesi, abbiamo isolato qualche punto che possa aiutare a fare chiarezza e a cambiare un po’ la percezione, tutta italiana, del popolo Rom.
Chi sono i Rom? Il termine “Rom” indica solo uno dei gruppi, quello numericamente maggiore, di lingua romanì, un’antica lingua indoeuropea attualmente parlata da 7 milioni di rom e sinti. All’interno della lingua rom, tuttavia, esistono una molteplicità di dialetti a seconda del luogo di provenienza dei vari gruppi: Albania, Bosnia, Ungheria, Romania, Serbia, Macedonia e così via. Pare logico, quindi, che non sia solo il dialetto a cambiare ma anche le usanze e i modi. Le persone Rom non sono quindi tutte uguali ma sono diverse tra loro tanto quanto possiamo esserlo noi rispetto ad un francese, un inglese, un moldavo e così via (senza dimenticare, poi, la dimensione personale di ogni singolo individuo).
Da dove arrivano i Rom? Come detto i Rom “contemporanei” provengono da diversi Paesi Europei, tuttavia i loro antenati sono originari della zona del fiume Indo, tra l’India e il Pakistan, che hanno abbandonato nel 1000 d.C. per recarsi in diverse zone d’Europa, come esperti lavoratori di metalli. Un popolo di lavoratori, quindi, a dispetto di chi racconta la loro atavica mancanza di voglia di lavorare ma non solo: un popolo molto versatile che, a partire dai primi viaggi, si è adattato e conformato alle usanze e ai mestieri di chi lo ha accolto. Del resto, nella loro lingua, “rom” significa semplicemente “uomo” (e non “vagabondo” o “zingaro” e nemmeno “rumeno” come molti credono) e noi, i non-rom, siamo definiti “gagè”, ossia creduloni, superstiziosi, attaccati alla cose e anche violenti. Così è come loro ci vedono e forse qualche domanda, senza stupidi orgogli, occorrerebbe farsela.
Allora perché vivono nei campi e si dedicano ad attività illecite? In realtà succede solo in Italia e nemmeno per tutte le persone Rom, la delinquenza non è un fattore genetico e nemmeno, fatevene una ragione, una scelta culturale. L’Italia è l’unico paese d’Europa ad aver inventato i campi rom, che non sono un’idea loro ma nostra, per risolvere una presunta emergenza abitativa: il fatto che a loro piaccia e abbiano bisogno di vivere di nomadismo è una nostra credenza basata su false convinzioni; lo supponiamo dal fatto che sono grandi viaggiatori, molto versatili e adattabili (come si diceva poco sopra) e facciamo anche un po’ confusione tra Rom, Sinti e giostrai. Nella altre zone d’Europa, i rom vivono in normali abitazioni, si laureano, lavorano e pagano le tasse. Sono parte integrante dello Stato di appartenenza. Appena arrivano in Italia, invece, definita dai rom bosniaci come “la terra dei campi”, vengono “zingarati”: cioè infilati nei campi in attesa di chissà cosa, una casa o un lavoro che vorrebbero e potrebbero procurarsi da soli e bloccati in una sorta di limbo, che li ghettizza, li rinchiude e non permette certo loro di procurarsi soldi e mezzi con dignità. E nemmeno di farsi conoscere e apprezzare da noi altri. Questo alimenta i possibili comportamenti scorretti: secondo la cultura Rom, il furto è punito severamente ma, allo stesso tempo, rubare o chiedere la carità (tradizione molto antica, certo, ma di sicuro non la loro aspirazione moderna di vita) in caso di forte indigenza non è un crimine. Del resto questo avviene anche per noi: la sospensione della pena e del giudizio esiste anche nella nostra società, in casi limite di forte povertà e difficoltà, tipo un anziano che ruba qualcosa per fame, è presente anche nelle civiltà occidentali. Non siamo poi così diversi.
Possiamo quindi affermare, non senza qualche imbarazzo, che il “campo rom”, fonte dei maggiori problemi integrativi e razziali tra italiani e Rom è in realtà un problema che gli italiani si sono creati da soli, a causa della nostra ottusità, recando danni un po’ a tutti quanti.
Però sono troppi. Solo l’Italia ha questo problema di Rom. Questa questione del “sono troppi” ricorre un po’ troppo spesso, quando si parla di immigrati di qualsiasi tipo, basterebbe quindi questo a classificarla come un capriccio; ad ogni modo siamo qui per rispondere e quindi possiamo dirvi che l’ Italia ospita solo lo 0.15% della popolazione Rom, mentre circa il 90% vive nell’area del Balcani e della Romania. In Italia, per altro, 4 Rom su 5 non vive nei campi ma in normali abitazioni conducendo una vita piuttosto comune, osiamo supporre che quell’uno rimanente se ne andrebbe via volentieri dalle baracche.
Sono comunque troppo diversi da noi. La loro cultura prevede prostituzione, mancanza di istruzione, scarsa igiene personale, superstizioni e magia. E poi rubano i bambini. Innanzitutto possiamo dire che lavarsi e prendersi cura di sé in un campo a cielo aperto fatto di baracche dove si vive in 100 e l’acqua è razionata e manca l’elettricità è un po’ difficile. A nessuno piace stare sporco, nemmeno ai Rom. Per quando riguarda la loro cultura possiamo dire che, ad eccezione di coloro i quali simpatizzano vagamente per l’islam, la loro percezione dell’uomo e della comunità risente in parte della loro tradizione ex tribale e in parte del cattolicesimo che è comune a tutti quanti noi occidentali: la famiglia è il nucleo portante della società Rom, dove i ragazzi devono vivere protetti e imparare il massimo possibile. Non sono contrari tout court alla scuola anzi: imparare la lingua, la legge e le usanze locali del Paese che li ospita è qualcosa che hanno sempre fatto, che è importante per loro e che potrebbe facilitare (di fatto nel resto d’Europa è così) il loro inserimento e la loro realizzazione lavorativa; tuttavia per coloro che vivono nei campi è un po’ difficile frequentare la scuola con regolarità e adottare sane abitudini. La società è fortemente patriarcale, ma sull’uomo gravano anche numerosi oneri e doveri, i quali se ignorati portano al biasimo collettivo. Il clan ha delle regole sue, parallele rispetto a quelle dello Stato, e tende a dirimere le controversie all’interno piuttosto che coinvolgere i gagè. La donna è vista come pura e la verginità ha un valore forte. Nessuno di loro crede nella magia; la chiaroveggenza è un mestiere e nulla più: giocano sul nostro essere superstiziosi ed inclini al pensiero fantastico per ricavarne un guadagno. Per quanto riguarda i furti: nei Balcani e in Romania, i furti per mano delle persone Rom sono prossimi allo zero (fonte Interpol); infine ad oggi nessun rapimento di bambini è stato attribuito a persone Rom, in nessuna parte del mondo. Purtroppo un certo giornalismo sensazionalista da troppa voce a bufale e affermazioni di pancia al posto di seguire davvero le inchieste e le indagini. Invece, siamo piuttosto noi che “rubiamo” i bambini ai Rom: a causa delle condizioni di indigenza in cui si vive nei campi Rom (ricordiamolo anomalia italiana voluta dagli italiani), un bimbo Rom ha il 60% in più di possibilità di essere allontanato dalla sua famiglia per essere adottato coattivamente.
Sui Rom si potrebbero dire tante altre cose e vi invitiamo a scoprirle tutte, attraverso i canali ufficiali e i volontari pronti a consegnarvi le loro testimonianze dirette, come l’Associazione 21 Luglio.
Con tutti i mezzi a disposizione, l’ignoranza non è più una scusa ma un atto volontario e così anche il razzismo; soltanto conoscendo queste realtà possiamo arrivare ad una pacifica convivenza che non procuri dolore a nessuno.
Altrove sono stati capaci, perché gli italiani no?
Alice Porta